La parole pronunciate da Mario Draghi nel vertice europeo di martedì sui Balcani in Slovenia – dove delle crisi balcaniche non si è proprio parlato – meritano davvero un approfondimento. Perché hanno l’amaro sapore di un «rattoppo» nel buco della strategia internazionale, risultando anche caotiche, incerte e perfino non vere; troppo per un protagonista al quale ieri Angela Merkel nel suo addio a Roma ha di fatto consegnato le chiavi dell’Unione europea come «il difensore dell’euro», senza dimenticare di ricordargli la ferita aperta della crisi europea in Libia.

«Il ritiro dall’Afghanistan per il modo in cui è stato deciso – ha dichiarato Draghi – , comunicato ed eseguito, il cambio di intenzioni che ha riguardato il contratto tra l’Australia e la Francia sono due messaggi molto chiari che dicono che la Nato sembra meno interessata dal punto di vista geopolitico all’Europa e alle zone di interesse dell’Europa e ha spostato le aree di interesse ad altre parti del mondo». In estrema sintesi, il disastro afghano -ahimè ridotto solo al ritiro, non già ad una analisi del fallimento ventennale, anche italiano, di una guerra – e il patto transatlantico Aukus – tra l’altro un grande premio alla Brexit di Johnson – mostrano la svolta degli Stati uniti e insieme proporrebbero un «riarmo» perché come ha fatto intendere lo stesso Draghi «chi ci doveva difendere non ci difende più.

Così dilaga la nuova pulsione, politica e massmediatica, sulla nuova Difesa europea «indipendente», ma sempre dentro la Nato. Siamo alla torsione della ragione, perché nessuno – ancora dentro la stagione della pandemia che ben altre urgenze ha posto all’attenzione del mondo – si chiede quanto ci costa già la Nato, quanto il nostro impegno, che resta ineludibile, nella strategia rischiosa e guerrafondaia dell’allargamento ad Est di basi, sistemi d’arma e militari; e soprattutto da chi ci dobbiamo difendere. Ma davvero la Russia di Putin rappresenta un pericolo militare che insidia i nostri confini e la nostra sicurezza? Si porta ad esempio l’annessione russa della «russissima» Crimea.

Ma come dimenticare che quella fu una risposta alla crisi ucraina, ambigua e tutt’altro che democratica, alimentata proprio dagli Usa, dall’Ue e dalla Nato stessa (in Donbass ancora si combatte)? La Nato ne è fiera? E l’Unione europea concorda con il fatto che la disseminazione di basi americane e atlantiche in tutti i Paesi dell’Est-Europa ha costruito un’area più fedele al complesso militare industriale di Washington che alla democrazia di Bruxelles?

Il conflitto che appare è invece di natura economica, con l’Ue interessata ad un rapporto con la più che emergente Cina, il nuovo nemico degli Usa – ora con Biden e già con Trump – e anche, strategicamente, alle forniture di energia rappresentate dalla Russia, e questo anche dentro la costruzione di una problematica transizione ecologica, stante che gli Stati uniti sono tornati ad essere esportatori di energia e puntano ad un loro mercato.

Così Mario Draghi diventa assertore della nuova Difesa europea ma dentro la Nato. Per i cittadini vuol dire, è bene che si sappia, raddoppio delle nostre spese militari – già spendiamo 70milioni di euro al giorno e circa 26 miliardi annui , ai quali si aggiungono gli stanziamenti per il Ministero dello Sviluppo economico, che a tale scopo dispone di un fondo di 30 miliardi, cui se ne vogliono aggiungere altri 25 richiesti dal Recovery Fund e secondo gli impegni presi dalla Nato la spesa militare italiana dovrà salire a circa 36 miliardi annui.

Ma soprattutto emerge l’inconsapevole conflitto, sul quale è ritornata in visita a Washington, proprio Ursula von del Leyen più servizievole e filoatlantica che mai: ha infatti criticato i Paesi europei che spingono per rafforzare la Difesa europea perché la nascita di «strutture concorrenti» indebolirebbe la Nato. Senza dimenticare il nodo dell’atomica francese e il fatto che su molti fronti, compreso quello del conflitto che oppone nell’Egeo Grecia e Turchia, paesi decisivi come Francia e Germania sono due fronti opposti per la fornitura di nuovi sistemi d’arma; per non parlare del ruolo antagonista della Francia in Libia e delle sue nuove avventure militari ne Sahel alle quali ci siamo accodati perché lì sarebbe la frontiera dell’Europa, dove fermare, a quanto pare manu militari la marea montante ed epocale delle migrazioni, che «democraticamente» abbiamo riconsegnato nelle mani delle milizie libiche con plauso bipartisan, in Italia e in Europa

Draghi spieghi, dunque, le chiacchiere stanno a zero. Non si può stare «con dio e con Mammona». Delle due l’una: o Difesa europea o Nato. Spiegando a cosa dovrebbe servire il «riarmo» nel vecchio continente. E non invece il disarmo, radicale e generalizzato – a proposito, come coniugare i Cruise con cui torniamo ad armarci, i droni per i raid, le fabbriche d’armi sofisticate e decine di bombe atomiche a Ghedi, con la transizione ecologica? -, se davvero vogliamo rispondere alla a domanda e rabbia sociale che monta a ridosso della pandemia. È tempo che in «difesa» della democrazia italiana che per via delle troppe servitù militari non è padrona in casa sua, e della necessità di avere finalmente una politica estera dell’Ue surrogata sempre dalla Nato, si apra un dibattito, almeno a sinistra, sulla reale utilità dell’Alleanza atlantica che ormai appare – forse – superata perfino dalla Casa bianca.