La cifra politica delle grandi manovre a destra viene riassunta così nell’allarme social lanciato dal premier polacco Donald Tusk: «Amano Putin, i soldi e il potere senza controllo. E sono già al potere o lo stanno cercando nell’Europa orientale o occidentale» scrive su X l’esponente del Ppe riferendosi all’ascesa del Rassemblement national in Francia e al rischio di ingerenza russa su Bruxelles. Poi Tusk constata: «Stanno unendo le loro forze all’interno del Parlamento europeo».

Ieri, infatti, sono arrivate nuove adesioni al raggruppamento «Patrioti per l’Europa» che si è costituito domenica con l’ex premier ceco e leader del partito liberal-conservatore Ano Andrej Babis e con il presidente della Fpoe austriaca Herbert Kickl. Ma soprattutto promosso dal premier ungherese Viktor Orbán, che da ieri ha preso le redini della presidenza di turno del Consiglio Ue, in un semestre che – con un sospiro di sollievo a Bruxelles – avrà in realtà poche scadenze legislative.

IL GRUPPO GUIDATO dall’ungherese, bastian contrario su Kiev, è in realtà ancora sulla carta, dato che soddisfa il requisito minimo di europarlamentari (23: 10 Fidesz, 7 Ano e 6 Fpoe), ma non quello della provenienza da almeno 7 paesi. Ma i Patrioti hanno già in vista un paio di arrivi. Il primo, annunciato dal leader Ventura, è quello dell’estrema destra portoghese di Chega, con i suoi 2 eurodeputati. Il secondo potrebbe essere quello di Matteo Salvini, che ha salutato per primo, con entusiasmo, l’iniziativa di Orbán e sodali. «Mi sembra la strada giusta – afferma – quella che la Lega auspica da tempo». Poi fa sapere che la delegazione italiana sta valutando la possibilità di unirsi in «un grande gruppo che ambisca a essere il terzo all’Europarlamento».

SIA CHEGA CHE LA LEGA sono attualmente parte di Identità e democrazia. Ed è significativo che la riunione costitutiva del gruppo Id, programmata per domani, sia stata posticipata all’8 luglio, subito dopo il secondo turno delle legislative in Francia, a cui evidentemente la partita dei gruppi è strettamente intrecciata. Anche perché, se davvero seguissero gli austriaci dell’Fpoe nella nuova formazione politica all’Eurocamera, sarebbe la stessa Id a mancare i requisiti necessari per la sussistenza. D’altronde l’entusiasmo del leader della Lega conferma le ipotesi di un’implosione concordata, favorita dalla stessa Le Pen.

Diverso il clima in casa Ecr. Giorgia Meloni, che al contrario di Orbán e dei suoi possibili alleati, è diventata anti-putiniana e strenua sostenitrice di Kiev si trova spiazzata, dovendo affrontare tre questioni simultanee: l’ascesa di Marine Le Pen, il rischio spaccatura dentro Ecr (e la calamita Orbán), infine una delicata trattativa con von der Leyen. Meloni cita la Francia, non Orbán, quando ricorda di aver «sempre auspicato a livello europeo che venissero meno le vecchie barriere tra le forze alternative alla sinistra». Proprio in questi giorni, i conservatori europei stanno tenendo la loro convention in Sicilia, occasione di regolamento di conti tra gli europarlamentari italiani e quelli polacchi, i cui rapporti negli ultimi giorni sono stati piuttosto agitati, con la minaccia da parte di questi ultimi di lasciare i Conservatori. Se le trattative interne non andassero a buon fine, e anche i polacchi dovessero essere calamitati da Orbán, Ecr perderebbe il podio di terzo gruppo recentemente conquistato a scapito dei liberali di Renew.

IL DECLASSAMENTO SAREBBE uno smacco per la presidente del consiglio, che non può interrompere il dialogo con von der Leyen. Le due leader hanno bisogno l’una dell’altra: Meloni gioca anche un ruolo istituzionale per fare avere all’Italia il «commissario di peso» a cui punta, la presidente della Commissione vorrebbe i 24 voti di FdI per puntellare la sua elezione, prevista il 18 luglio a Strasburgo, mettendola al riparo dai franchi tiratori. Certo von der Leyen, a sua volta, tratta a tutto campo per allargare la maggioranza di partenza, composta da Ppe, socialisti e liberali. Ieri pomeriggio ha tenuto un incontro formale al Berlaymont, a Bruxelles, con i leader dei Verdi europei, che possono portare in dote 54 voti ma a due condizioni: rimettere in piedi il Green deal e dire no all’estrema destra, compresa Ecr. Navigazione pericolosa, quella di von der Leyen, tra Scilla di Meloni e Cariddi dei Verdi. Ma inevitabile per mettere al sicuro il von der Leyen bis.