Renato Accorinti non è introvabile. Semplicemente, va cercato laddove è l’epicentro di giornata. In piazza a sventolare la bandiera pacifista davanti ai generali se è la festa delle Forze armate, al porto per accogliere istituzionalmente 360 migranti in arrivo da Lampedusa in giornate come quella di ieri. Per questo, raggiungerlo e intervistarlo costa un po’ di fatica, puntualmente ricompensata da una disponibilità fuori dal comune e una verve oratoria di cui non si finisce di stupirsi.
Il sindaco di Messina è, per usare un eufemismo, gandhianamente indisposto con il suo conterraneo Angelino Alfano, che ha sottratto ai sindaci la gestione dell’accoglienze per affidarle alle prefetture, in nome dell’emergenza. Per questo motivo, a tarda sera Accorinti non era ancora in grado di sapere in quali strutture gli africani sarebbero stati ospitati. «Avevo proposto di portarli in un villaggio turistico che si chiama “Le dune”, costruito proprio sulla spiaggia. Si tratta di una struttura che va abbattuta ed era perfetta per ospitare gli immigrati in arrivo. Sono pronto a requisirla», spiega. Ma da via Arenula è arrivato lo stop.

Accorinti, in una settimana lei è stato ricevuto da papa Bergoglio, ha celebrato la giornata internazionale dei rom incontrando una loro delegazione al Comune, ha chiesto all’Unesco che lo Stretto di Messina sia considerato patrimonio dell’umanità. Ora è sulla banchina ad attendere 360 migranti che non potrà accogliere come vorrebbe.

Volevo fare una cosa normale: utilizzare una struttura illegale, che non può essere sanata, per uno scopo sociale. Invece il ministero è passato sopra la nostra testa. Ma io non mi arrendo: ho il dovere di dare un’alternativa alla gestione emergenziale dell’immigrazione. D’altronde, se fare un sindaco vuol dire solo sturare un tombino o riparare una buca, mi pare ben poca cosa. Bisogna volare alto, come ho spiegato qualche giorno fa in Vaticano.

Cosa vi siete detti con papa Francesco?

Gli ho regalato la t-shirt con la scritta «Free Tibet» che indosso usualmente. Il prossimo passo sarà la cittadinanza onoraria a lui e al Dalai Lama. Vorrei farli incontrare proprio qui a Messina. Questo per me è volare alto.

E i rom? L’associazione 21 luglio, nel suo dossier su Roma in cui chiede al sindaco Marino di cambiare passo, cita il modello Messina come un esempio di integrazione.

Io frequentavo i rom già 35 anni fa, dormivo con loro nelle baracche. Così come sono sempre stato dalla parte dei clochard. Per me è stato conseguente, una volta diventato sindaco, creare una struttura per tutti i senzatetto, che abbiamo intitolato a Vincenzo, un barbone che conoscevo vent’anni fa e che ora non c’è più. Come diceva Gandhi, bisogna essere concreti come sognatori. E avere molta umiltà, aggiungo. Io sono qui solo per servire la città, questa terra, il mare, un filo d’erba. Quello che mi interessa è combattere il default spirituale, perché quello economico prima o poi passerà.

Parole utopiche, non pensa? Come l’idea di unire Messina e Reggio Calabria in un’unica città metropolitana, forse.

Nella mia vita ho combattuto spesso battaglie che sembravano perse. Come diceva Brecht, l’errore è dietro l’angolo, ti aspetta. Però io non penso che fare il sindaco sia solo occuparsi delle cose minime. Ripeto: bisogna volare alto. E in questo penso di aver già vinto.

C’è una sfida che pensa sia invece ancora da vincere?

Non mi interessa avere i soldi per comprare nuovi autobus o rifare i giardini. La città deve diventare più bella nelle persone, prima ancora di abbellirsi. Finora siamo stati un condominio, ora dobbiamo diventare una comunità. È questo il salto di qualità che rimane da fare.