Direttore scientifico dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri di Milano e docente di storia contemporanea all’Università di Padova, Filippo Focardi è tra i massimi esperti della memoria del fascismo, della seconda guerra mondiale e della Resistenza. Si è occupato dei risarcimenti delle vittime del nazismo e della punizione dei criminali di guerra italiani e tedeschi. Nel suo La guerra della memoria (Laterza, 2005) ha seguito le evoluzioni del dibattito politico sulla guerra di liberazione dopo il 1945. In Il cattivo tedesco e il bravo italiano (Laterza. 2013) si è cimentato con il nodo della rimozione delle colpe italiane nel secondo conflitto mondiale. Per la casa editrice Viella ha ora in uscita Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe, che inserisce il caso italiano nel quadro della memoria europea contemporanea. Abbiamo colto l’occasione di questo 25 aprile per porgli alcune domande su come contestualizzare la data di oggi nel nostro presente di crisi.

L’Istituto Parri ha promosso la campagna social «Raccontiamo la Resistenza». Un’iniziativa pensata allo scopo di celebrare il 75° anniversario della Liberazione «con una voce ancor più forte, che echeggi in quelle piazze che quest’anno non si possono riempire di persone».Ce la può raccontare?
Abbiamo pensato che fosse opportuno ricordare pubblicamente il 25 aprile anche in questo momento difficile in cui l’emergenza sanitaria impone a tutti di restare a casa. Dal 29 marzo abbiamo avviato una campagna social con video di approfondimento, documenti digitalizzati, brani musicali, poesie e spettacoli. Per la giornata di oggi è prevista una maratona di interventi, da sud a nord, per ripercorrere idealmente il tragitto della liberazione.

Il 25 aprile al tempo del Covid19. La destra è tornata alla carica chiedendo di farne la festa dei «caduti di tutte le guerre, anche del virus». Da dove viene questo tentativo?
Sotto le vesti di un appello alla solidarietà nazionale, la proposta esprime la persistente idiosincrasia della destra italiana nei confronti del 25 aprile, considerato una festa di parte. Dietro tutto ciò c’è il caparbio disconoscimento della Resistenza come lotta per la libertà e la rinascita democratica del Paese, pur con le sue luci e le sue ombre. E l’idea viceversa della Resistenza come una nefasta «guerra fratricida», egemonizzata dai comunisti, che l’avrebbero voluta indirizzare verso una rivoluzione violenta (come si legge ne Il sangue dei vinti di Pansa). Certo, la Resistenza ha avuto anche i caratteri di una guerra civile, ma necessaria a sconfiggere l’Italia ultranazionalista, aggressiva e razzista incarnata dal regime totalitario fascista. Chi ancora attacca il 25 aprile mostra di non aver fatto i conti fino in fondo con il retaggio del ventennio. Ci ha provato Gianfranco Fini alcuni anni fa, ma i suoi non lo hanno seguito. E, più recentemente, in un contesto segnato dalla crisi economica, abbiamo sentito riecheggiare pericolosi moniti alla «sostituzione etnica» degli italiani. Sono ricomparse le svastiche e segnali preoccupanti di antisemitismo.

In che modo la questione della memoria delle foibe si inserisce in questa strategia?
La destra di matrice post-fascista ha contrapposto la memoria delle foibe a quella della Resistenza, ponendola in competizione anche con la memoria della Shoah, assunta comunque come paradigma di riferimento (le foibe presentate come la «Shoah italiana»). Le vicende traumatiche delle foibe e degli italiani espulsi dall’Istria e dalla Dalmazia meritavano senz’altro di entrare nella coscienza storica degli italiani, ma non attraverso la nazionalizzazione di una memoria di parte, che omette di fare i conti con le «nostre» responsabilità: le prevaricazioni contro la minoranza croata e slovena e i crimini di guerra commessi dagli italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943. È sembrato che ad un certo punto, dopo il 2010, il Presidente Napolitano fosse riuscito a trasformare la memoria delle foibe in una memoria europea riconciliata, all’insegna del reciproco riconoscimento dei torti e delle sofferenze che storicamente le parti contrapposte si erano inflitte. Negli ultimi due anni, però, la destra ha ridato fuoco alle polveri, riattizzando quella delle foibe come una memoria ultranazionalista e provocando di nuovo, non a caso, problemi diplomatici con i nostri vicini sloveni e croati. La guerra della memoria sovranista investe l’Europa: la partita si gioca su questo terreno. E il 25 aprile torna ad avere un significato non solo italiano ma anche europeo.

Ampliamo la prospettiva: l’Europa come ha ricordato la guerra mondiale e che spazio occupa la Resistenza in questa narrazione?
Dopo l’allargamento della Ue ai Paesi dell’est, le istituzioni comunitarie hanno promosso una memoria della seconda guerra mondiale imperniata su un paradigma antitotalitario che assimila i crimini del comunismo a quelli del nazismo. L’antitotalitarismo ha così affiancato la memoria della Shoah come secondo pilastro della memoria europea. Questo sviluppo rischia di sboccare nella criminalizzazione dell’intera esperienza del comunismo europeo, compreso il contributo dei comunisti ai movimenti di Resistenza contro il nazifascismo. L’ultima risoluzione del Parlamento europeo (del settembre del 2019) ha proposto l’istituzione di una nuova giornata commemorativa dedicata agli «eroi della lotta contro il totalitarismo» e ha preso come modello la figura di un ufficiale polacco che ha combattuto sia contro il nazismo sia contro il regime comunista post-bellico. Questa sembra essere oggi l’unica memoria della Resistenza ammessa o apprezzata in Europa: quella antitotalitaria. Ma tale visione è incompatibile con la storia che hanno vissuto i Paesi europei, Italia compresa. Fare i conti con i crimini del comunismo è doveroso, ma non al prezzo di disconoscere il significato di un passaggio fondamentale della storia italiana e europea.