Nonostante il cessate il fuoco siglato a Minsk, attraverso un accordo in 14 punti e, all’alba di venerdì 12 settembre, il verificarsi del primo scambio di prigionieri fra le parti in conflitto, proprio lo stesso giorno, l’Unione Europea ha introdotto nuove incomprensibili sanzioni contro la Russia.

Risultano interessati dalla terza tranche di provvedimenti restrittivi 6 istituti di credito fra cui la maggior banca russa Sberbank, 24 fra personalità politiche ed oligarchi, colpiti da limitazioni nei movimenti in Occidente, e 15 colossi del settore petrolifero e meccanico, compreso quello degli armamenti, legati da interessi milionari con i paesi europei. Nel pacchetto rientrano restrizioni che vietano le forniture cosiddette «a doppio utilizzo» (civile e militare) e tecnologia militare contro nove imprese industriali russe, fra le quali miti come Kalashnikov.

Alle aziende energetiche russe sono state invece comminate sanzioni di tipo finanziario che impediscono loro il collocamento di azioni e obbligazioni sui mercati comunitari, creando difficoltà nell’approvigionamento dei capitali. Le misure dovrebbero avere ricadute negative in primis sulle due principali aziende russe del settore: la petrolifera Rosneft e Gazprom. Quest’ultima, già in netta contrazione di profitti nel primo trimestre 2014 (-40% rispetto al corrispondente periodo del 2013), subirà inevitabilmente un ulteriore calo dell’export verso l’Europa anche a causa dell’inasprimento delle tensioni politiche in atto.

Nei giorni scorsi, infatti, la Polonia ha già lamentato un calo delle forniture di gas del 40% (24% secondo Mosca) attraverso il gasdotto che attraversa Ucraina e Bielorussia, e non è improbabile che la contrazione sia dovuta alle posizioni intransigenti assunti dal governo di Varsavia nell’ambito della crisi ucraina. Le misure colpiranno anche altri due colossi: Transneft, compagnia di gestione delle reti di distribuzione energetiche, e il quarto produttore di greggio russo, Gazpromneft, società tornata pubblica, sotto il controllo di Gazprom, circa 10 anni fa.
Anche gli Stati uniti, lo stesso giorno, hanno adottato misure che ostacolano l’approvvigionamento finanziario per le aziende del settore energetico russo. Washington ha usato, tuttavia, una mano più pesante rispetto agli europei arrivando a colpire la più grossa conglomerata russa degli armamenti, Rostec, a totale controllo statale e, addirittura, le joint-ventures russo-statunitensi che operano nell’artico.

In particolare la collaborazione fra Exxon-Mobile e Rosneft sembra destinata ad interrompersi con ripercussioni anche per gli statunitensi che, evidentemente, in questa fase hanno la priorità di creare difficoltà al settore energetico russo che, da solo, copre addirittura il 70% dell’export nazionale, al fine dichiarato di costringere Mosca a ritirare l’appoggio alle Repubbliche secessioniste del Donbass. Gli statunitensi sembrano abbiano individuato nel colosso statale Gazprom il loro principale obiettivo. La strategia potrebbe però riserbare risvolti inquietanti.

Nell’estrema eventualità in cui Putin decidesse di chiudere i rubinetti delle condutture, per gli europei si aprirebbe una difficile crisi energetica: con quali forniture riusciranno a sostituire l’import di Gazprom, visto che attualmente copre il 25% del fabbisogno di gas dei paesi comunitari? Sicuramente non con lo shale gas, col quale gli statunitensi già riescono a soddisfare interamente la domanda interna.

Ad una analisi più approfondita, i provvedimenti finanziari introdotti dall’Unione Europea il 12 settembre contro i giganti del settore energetico russo potrebbero avere riflessi negativi sull’economia italiana che si ripercuotono al di fuori del singolo comparto dell’approvvigionamento energetico.

In particolare, una crisi finanziaria della compagnia petrolifera russa, a maggioranza statale, Rosneft potrebbe innescare ricadute a scala più ampia sulla nostra economia. Infatti, il colosso russo che fattura oltre 100 miliardi di dollari annui, ha effettuato importanti investimenti in Italia in imprese strategiche di rilevanza nazionale.

Da tempo ha rilevato, tramite Lauro Sessantuno, società controllata al 49,9%, il 26,19% della Pirelli, mentre pochi mesi or sono ha direttamente acquistato circa un quinto (20,99%) del capitale della raffineria sarda della famiglia Moratti, Saras. Sia Tronchetti Provera che i Moratti hanno accolto con grande preoccupazione l’introduzione delle misure in quanto hanno già valutato che le restrizione finanziarie di Rosneft finiranno per riflettersi negativamente sull’andamento delle loro aziende.

Le sanzioni introdotte da Putin il 6 agosto in risposta a quelle occidentali hanno già causato perdite per gli agricoltori italiani intorno ai 200 milioni di euro a seguito del blocco di una gamma di prodotti che va dalle carni ai prodotti caseari, sino agli ortaggi. Solo un assaggio in attesa della seconda portata viste le minacce di contromosse da parte di Putin. Nel mirino potrebbe esserci il settore automobilistico e in questo caso i danni per le aziende europee dell’auto sarebbero di ben altre dimensioni.

Anche alla luce delle preoccupazioni espresse dalla stessa Confindustria in una lettera aperta in agosto, risulta improbabile pensare che i Ministri degli Esteri dell’Unione Europea e, in particolare, la nuova Lady Pesc, l’italiana Mogherini, non abbiano ben valutato tutti gli effetti delle sanzioni introdotte, appurati, non solo gli effetti delle inevitabili contromisure russe ma, anche, le ricadute negative direttamente prodotte sulle economie dei paesi comunitari dalle misure, da loro stessi, adottate.

Provvedimenti autolesionistici in tempi di recessione economica risulterebbero di difficile comprensione per gli italiani, già duramente provati da una crisi prolungata che ha prodotto la contrazione del 25% della produzione industriale fra il 2008 e il 2013 e un tasso di disoccupazione stabilmente al di sopra del 12%.
Il dubbio che i paesi dell’Unione Europea, anche in questa occasione, si facciano trascinare da Washington in una spirale di ritorsioni economiche e di tensioni militari dagli sviluppi imponderabili, senza avere un piano strategico e riuscire ad opporsi alla rischiosa strategia di ampliamento della Nato ad Est voluta ada ogni costo da Obama, non risulta privo di fondamento, altrimenti diventa difficile comprendere la natura di certi provvedimenti presi a Bruxelles.

(*) Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati