L’anno che ha cambiato tutto è iniziato nella notte del 5 gennaio, con il presidente Donald Trump alla Casa Bianca e la sua guardia pretoriana riunita in una suite del vicino Hotel Willard, mentre migliaia di persone si radunavano in Pennsylvania Avenue, la strada del potere di Washington. L’anno che ha cambiato tutto è iniziato un anno fa. E non ha cambiato niente.

L’INVASIONE VIOLENTA del Campidoglio, dove Joe Biden stava per essere riconosciuto vincitore delle elezioni, i media Usa oggi la chiamano attack, insurrection e più raramente coup. Possiamo chiamarlo golpe. Anche se non c’è una Moneda bombardata, se il presidente in carica è quello costituzionale, se le vittime sono state “solo” cinque di cui tre di infarto.

Quel giorno di un anno fa, alle 11.50 davanti all’ala est del Campidoglio si era già radunata una folla, in cui spiccavano i berretti arancioni della milizia Proud Boys, mentre Donald Trump e il suo cerchio magico ascoltavano Gloria a tutto volume. Alle 12, Trump scendeva nell’Ellipse, un parco vicino alla Casa Bianca, e iniziava a parlare.

Quella «Marcia per salvare l’America» era il punto d’arrivo di mesi di piani, menzogne, minacce. Ben prima dell’Election Day del 3 novembre, Trump aveva iniziato a teorizzare inaffidabilità, interventi esterni e infine brogli nel processo elettorale. Già a settembre erano aperte centinaia di liti giudiziarie elettorali, poi il 18 settembre muore Ruth Bader Ginsburg, l’icona liberal dei 9 giudici della Corte suprema. Trump e soci bruciano le tappe e nominano al volo la conservatrice Amy Barrett: la Corte suprema diventa cosa loro. E «Stop the steal» – fermate il furto – diventa lo slogan del trumpismo, la pallottola d’argento che li farà vincere.

ALLE 12.15 TRUMP pronuncia il passaggio chiave del suo discorso da un’ora: «Dovete mostrare forza (…), so che ognuno di voi marcerà sul Campidoglio, combattete, combattiamo come dannati». È un segnale. Trump ancora parla e già la sua gente si avvia verso Capitol Hill e si unisce alle migliaia che circondavano il parlamento.

Donald le aveva provate tutte: si era inventato interferenze della Cina nelle macchinette elettorali, interferenze dei satelliti dell’Italia nella conta dei voti, interferenze delle Poste americane… Mentre il capo del suo team legale anti-brogli Rudy Giuliani presentava denunce infondate in ogni stato, lui minacciava apertamente i dirigenti pubblici (dall’infame telefonata al segretario generale della Georgia, «trovami quei voti Brad», al licenziamento del procuratore generale Bill Barr che si rifiutava di denunciare brogli inesistenti).

TUTTO INUTILE. La sola cosa che gli è riuscita è una pervasiva campagna social che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio ha portato a Washington miliziani di Proud Boys, Oath Keepers, Three percenters e altre sigle del patriottismo armato, oltre a migliaia di “suoi” repubblicani e un buon numero di sciroccati incluso un tizio con le corna in testa. Twitter e Facebook gli spegneranno i social solo dopo il 6 gennaio.

 

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Dopo un’ora di scontri, alle 14.00 cede la barriera della polizia sul lato est del Campidoglio, alle 14.10 cede anche il lato ovest. Inizia l’irruzione nel Campidoglio, mentre Camera e Senato interrompono i lavori e i servizi segreti portano via il vicepresidente Mike Pence.

Per quel giorno, fino a oggi i procuratori federali hanno messo sotto accusa 700 manifestanti. Solo 50 sono già stati giudicati, quasi tutti affidati ai servizi sociali, pene sospese o multe per un totale di 70mila dollari, contro il milione e mezzo di danni al Campidoglio. Solo in 19 casi sono arrivate condanne al carcere. Una, di 20 giorni, a un manifestante che si è fregato una birra nell’ufficio della speaker della Camera, Nancy Pelosi. Lo sciamano cornuto Jake Angeli ha preso 41 mesi, e in carcere ha rifiutato il cibo perché non era biologico. Non proprio la vendetta dello Stato.

ALLE 14.22 UN COLPO DI PISTOLA abbatte una manifestante trumpista, la veterana dell’aeronautica Ashli Babbitt, di 35 anni. Muore sul posto, diventerà la martire di «Stop the steal». Il giorno dopo, si spegne in ospedale il poliziotto Brian Sicknick, ricoperto di spray urticante durante gli scontri – alla fine i poliziotti feriti saranno 140. Il manifestante Kevin Greeson muore di infarto fuori da Capitol Hill, come Benjamin Phillips, venditore di pregevoli canguri a forma di Trump. Rosanne Boyland muore calpestata dagli stessi aggressori mentre cerca di superare la polizia.

Sei mesi dopo l’assalto, la Camera ha istituito una commissione d’inchiesta ma per settimane il «6 january committee» ha fatto parlare più che altro del fatto che i repubblicani rifiutavano di entrarci. Ora stanno stringendo i tempi e potrebbero rendere pubbliche alcune scoperte – ma per un primo rapporto toccherà aspettare l’estate.

CHIUSI IN UN EDIFICIO «vicino a Capitol Hill», divisi in team chiamati verde, oro, viola e rosso a seconda degli obiettivi, hanno interrogato circa 300 testimoni e accumulato «prove di prima mano» – parole di Liz Cheney, figlia dell’ex vice di Bush jr – della volontà di Trump di andare fino in fondo, nonostante i messaggi di ritirata di figli, di parlamentari e persino del suo mezzobusto preferito, Sean Hannity di Fox.

Tra i 35mila documenti consegnati al comitato (alcuni non hanno collaborato, come lo stratega Steve Bannon, incriminato), anche i piani per impedire al vicepresidente Pence di certificare la vittoria di Biden – proprio il no di Pence scatenò quella specie di soluzione finale della democrazia. Il rapporto potrebbe far incriminare Trump per cospirazione sediziosa, pena massima vent’anni, ma sembra un rischio assai più remoto della frode fiscale per cui la procura di New York ieri ha emesso un mandato di comparizione a carico di Trump e figli per gli allegri bilanci della Trump Organization.

BIDEN VINCITORE E TRUMP IN CRISI? Neanche per sogno. Il 91% degli elettori trumpisti crede ancora (sondaggio Yahoo News/YouGov di ieri) che Biden non abbia vinto. Sì, il Washington Post racconta che miliziani, trumpisti e sciroccati si stanno prendendo a pesci in faccia tra loro, ma sembra più un raggruppamento che una diserzione e Trump resta il candidatissimo per il 2024, contro un Biden da mesi incagliato in parlamento. I democratici hanno persino smesso di usare il 6 gennaio come argomento politico, da quando un procuratore dem della Virginia ci ha rimesso le elezioni lo scorso 3 novembre.

Trump ha annunciato che parlerà dal suo quartier generale di Mar-a-Lago. Come Joe Biden parlerà domani dal Campidoglio, per commemorare «il momento più buio della nostra democrazia». L’anno che ha cambiato tutto non ha cambiato niente.

Errata Corrige

Tutto è iniziato nella notte del 5 gennaio, con Donald Trump alla Casa Bianca e la sua guardia pretoriana riunita in una suite del vicino Hotel Willard, dopo mesi di piani, menzogne e minacce che non sono ancora state sventate. A un anno dall’invasione del Campidoglio per «salvare l’America» i dem non riescono neanche a usare quella soluzione finale della democrazia come argomento politico