La «marcia della dignità» fa un altro passo avanti. I 55 migranti del «secondo esodo» verso il Padovano ieri hanno potuto almeno dialogare faccia a faccia con il prefetto di Venezia Carlo Boffi. E stamattina ritornano in visita nell’ex base militare di Conetta i parlamentari, insieme alla delegazione dei firmatari dell’appello di solidarietà lanciato dalla società civile veneziana.

LA VICENDA è tutt’altro che risolta. Se mai, complica la vita nei palazzi istituzionali e lascia affiorare contraddizioni, ipocrisie, tradimenti. A Conetta sono rimasti 830 migranti, sempre affidati alla gestione della coop Edeco (in attesa di “sviluppi” della convenzione). Il censimento aggiornato contabilizza anche 24 rientri, più altri 14 migranti che hanno rifiutato il trasferimento al centro della Croce Rossa a Jesolo.

Nell’incontro al centro civico Canevon di Malcontenta, il prefetto propone in pochi giorni il trasferimento di un centinaio di “ospiti” verso strutture più piccole, non solo nel Veneziano. E rivela che 260 mila euro erano stati spesi in estate per migliorare le condizioni a Conetta. Ma lì nessuno vuole tornarci: «Non è un centro di accoglienza, ma un magazzino di scarico umano. Ci avevano dato garanzie e non è cambiato niente» replicano i 55 migranti che decidono di restare. Di qui lo stallo e il rischio che il filo del buonsenso si spezzi.

NELLE PRECEDENTI 48 ORE, infatti, la nuova “marcia” ha dovuto dribblare più di un ostacolo. Chi era uscito lunedì dai cancelli dell’ex base Silvestri (con il sostegno di Usb, Cobas e associazioni) contava di ripercorrere le orme dei circa 200 migranti che la scorsa settimana, dopo 30 km fra argini e strade di campagna, hanno strappato una sistemazione degna. I 55 del “secondo esodo” sono approdati fino a Piove di Sacco. Ma hanno trovato le porte sbarrate. Don Marco Cagol, vicario del vescovo, aveva spiegato in polemica con i sindacati di base: «Non possiamo alimentare illusioni, né sottostare a un ricatto morale da parte di chi accusa la chiesa di chiudere le sue porte. Senza poi dimenticare che rimanere fuori da Cona per due giorni rischia di portare a un solo risultato: la perdita dei diritti connessi allo status di richiedente asilo».

ALLA FINE, LA MEDIAZIONE: il cinema parrocchiale garantisce riparo dal freddo. E martedì mattina la marcia riparte con i biglietti per viaggiare sui bus di linea, “sbarcando” i migranti nel terminal di Padova. L’imprevisto sconfinamento fa scintilla nelle due anime della nuova giunta cittadina, mentre una volta di più i vertici di Pd e Mdp si sfilano in silenzio.

Prima dichiarazione del sindaco Sergio Giordani: «Qui non c’è posto. Consiglio ai ragazzi di tornare alla base». Secca la replica da parte di MeltingPot, Open Your Borders, Catai, Padova Accoglie e Sconfinamenti: «Il Comune, la cui amministrazione è stata eletta con un mandato chiaro proprio su accoglienza e integrazione, deve farsi promotore di soluzioni concrete attraverso iniziative proprie e facendo pressione sulla prefettura».

SOTTO PALAZZO SANTO STEFANO si gioca la delicata partita, con il sit in dei migranti proprio nel cuore del centro storico, sotto i riflettori mediatici e lo sguardo dei padovani. Il vice sindaco Arturo Lorenzoni (che a giugno aveva raccolto il 22% con Coalizione Civica e ora ha sposato Pisapia) si ritrova sulle uova a far la spola su e giù dalla prefettura. Di nuovo, compromesso d’urgenza: martedì notte i profughi di Conetta sono ospitati da una struttura religiosa a Rubano. Al risveglio, altra corsa in bus: ma non fino a Venezia, perché il capolinea a sorpresa diventa Malcontenta. Oggi ripartono, tutti insieme, da lì…