Dopo sette anni d’esilio Lolita Chávez è tornata a casa sua, in Guatemala. Il suo ritorno si è trasformato in azione politica, a tappe. La prima, il 21 giugno, è stata San Cristobal de Las Casas, Chiapas, quindi Città del Messico, La Esperenza (Honduras) e quindi Città del Guatemala. Aura Lolita Chávez Ixcaquic è donna, indigena Maya, femminista, in movimento contro il capitalismo neoliberista, il colonialismo, il razzismo e il patriarcato. Una vita di lotta che l’ha portata a conoscere e incontrare altre attiviste come lei, tra queste Berta Cáceres, leader honduregna ambientalista del popolo Lenca uccisa per il suo impegno.

E se a San Cristobal l’atto di partenza è stato fatto dentro le mure del CIDECI, Centro di formazione per popolazioni indigene ma anche spazio politico che per anni è stato anche sede di un Caracol Zapatista, l’arrivo di Lolita in Guatemala è stato in piazza, il 28 giugno. Prima del forzoso esilio a causa di minacce per la sua vita è stata portavoce del Consiglio delle popolazioni Ki’che (CPK) del Guatemala. Organizzazione fondata nel 2007 per difendere i territori e il diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni.

Nel luglio del 2017, dopo aver partecipato ad un’azione che ha permesso di bloccare un camion che trasportava legname senza licenza di sfruttamento, le minacce di morte contro Lolita si sono moltiplicate e con l’omicidio di Berta Cáceres è maturata la scelta di esiliarsi nel Paese Basco. Il ritorno di Lolita è anche una sfida diretta a Bernardo Arevalo e alla sua presidenza, tanto che nelle diverse tappe della carovana ha ribadito: “Al governo dico: torno perché non sono una criminale”.

L’arrivo a Città del Guatemala non solo è passato da un atto pubblico, con conferenza stampa, in piazza ma anche da una scelta simbolica ovvero quello di “invadere”, con una cerimonia tradizionale maya, la piazza del congresso che da anni è rinominata dai movimenti sociali Plaza de las Niñas per ricordare una strage di bambine avvenuta tra il 7 e 8 marzo del 2017. La carovana partita da San Cristobal si è ingrandita tappa dopo tappa, e se con Lolita sono arrivate donne indigene da Messico e Honduras, Europa e diversi paesi del continente. Lolita ha citato Norita Cortinas e poi ha detto “tornare in comunità è tessere la memoria. La purezza è la nostra autodifesa. Torno come figlia, e nipote dei popoli di Abya Yala”.

Ad accoglierla dalla Bolivia, Adriana Guzman che ha dichiarato: “Abbiamo sognato questo momento, tracciando percorsi e riflettendo sul suo significato. È stata una grande esperienza di apprendimento e una pedagogia del ritorno. Lolita non è tornata da sola, abbiamo forzato le frontiere e recuperato il nostro tempo per accompagnarla. È un trionfo del popolo, degli oltre 100 giorni di mobilitazione in Guatemala. Questo ritorno simboleggia la resistenza e la vita, abbattendo le frontiere patriarcali e unendo colori e popoli indipendentemente dalla nazionalità o dal passaporto. Vogliamo continuare a costruire queste confederazioni comunitarie”.

C’era anche Pancha Fernández, attivista femminista e per la difesa dell’acqua pubblica dal Cile che ha detto “come femministe di Abya Yala (america latina), abbiamo capito che il ritorno in comunità è essenziale. Camminiamo insieme per l’etica della cura, mentre lo Stato e le transnazionali ci criminalizzano. Abbiamo iniziato in Chiapas, con le comunità zapatista, e siamo arrivate in Honduras, onorando Berta Cáceres, per culminare a Ixim Ulew in Guatemala. Questo ritorno è un percorso di emancipazione, che abbatte le frontiere e costruisce l’unità”.