Si scrive Onu, si legge Usa: via alla missione per “salvare” Haiti
I primi 400 militari keniani sbarcano a Port-Au-Prince, la capitale da mesi in mano alle bande. Vengono dall’Africa le prime truppe di un contingente di otto paesi, con armi e mezzi americani
I primi 400 militari keniani sbarcano a Port-Au-Prince, la capitale da mesi in mano alle bande. Vengono dall’Africa le prime truppe di un contingente di otto paesi, con armi e mezzi americani
Con l’arrivo, nella mattinata di ieri, dei primi 400 agenti di polizia keniani sui mille previsti, prende ufficialmente il via la Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza (Mmas) ad Haiti, ostinatamente voluta e interamente equipaggiata dal governo degli Stati Uniti, autorizzata dall’Onu il 2 ottobre del 2023.
Guidato dal Kenya, ma con la partecipazione anche di contingenti militari di Benin, Bahamas, Bangladesh, Barbados, Ciad e Giamaica, l’intervento si propone un obiettivo ambizioso: aiutare la polizia haitiana a sconfiggere le bande criminali che oggi controllano l’80% di Port-au-Prince, seminando il terrore tra la popolazione. Una missione che, anche rispetto agli interventi militari stranieri del 1994 e del 2004 – miseramente falliti – si annuncia complessa, pericolosa e piena di insidie. E osteggiata dalla società civile sia di Haiti che del Kenya, non solo per il disegno imperialista che vi soggiacente ma pure per i precedenti delle forze di sicurezza keniane, accusate – soprattutto nell’area di confine con l’Etiopia e la Somalia – di pesanti violazioni dei diritti umani.
Ci sono voluti più di otto mesi perché la missione prendesse corpo, superando i più diversi impedimenti: prima le dimissioni dell’ex presidente haitiano Ariel Henry, poi l’attesa che entrasse in funzione a tutti gli effetti il Consiglio di transizione presidenziale, con la successiva nomina di un nuovo primo ministro, il medico Garry Conille, direttore regionale dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi (e già primo ministro dal 2011 al 2012, durante la presidenza di Michel Martelly). E, strada facendo, due ricorsi sulla legalità e legittimità dell’invio del contingente di polizia presentati all’Alta Corte del Kenya dall’Ordine nazionale degli avvocati e dalle forze di opposizione al governo di William Ruto, a sua volta oggetto delle pressioni statunitensi a favore di un intervento il più possibile immediato.
Pressioni e lusinghe: durante la sua visita del 23 maggio negli Stati Uniti, dove si era recato per discutere il progetto della missione con i responsabili della Casa Bianca – impegnata con finanziamenti e logistica, ma decisa a non inviare soldati ad Haiti – Ruto aveva ricevuto grandi elogi: il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan aveva non a caso salutato la sua decisione come «un’impresa senza precedenti» e «un’importante dimostrazione di leadership globale da parte del Kenya».
Quanto alle bande armate, dopo aver rivolto minacce agli «invasori che vengono a calpestare l’indipendenza» del paese, il capo della potente coalizione “Viv Ansanm”, Jimmy Cherizier detto Barbecue, si è detto disposto a negoziare con il nuovo governo ma a due condizioni: un’amnistia e la partecipazione attiva alla transizione di potere. «O ci sediamo tutti attorno al tavolo – ha detto – oppure il tavolo verrà distrutto con tutti noi».
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