La verità è lapalissiana: la lotta fratricida tra un presidente Luis Arce in difficoltà di fronte all’attuale recessione e un ex presidente Evo Morales deciso a riprendersi il potere può solo favorire le forze golpiste. E se il sorprendente tentativo di colpo di stato da parte dell’ex comandante delle forze armate Juan José Zúñiga è stato sventato in maniera rapida e relativamente indolore (almeno 12 i feriti), per l’ancora fragile democrazia boliviana è comunque suonato un preoccupante campanello d’allarme.

CHE QUALCOSA non andasse per il verso giusto lo si era capito dalle clamorose dichiarazioni di Zúñiga, il quale martedì aveva affermato che, se Morales si fosse candidato alle presidenziali del 2025, le forze armate avrebbero proceduto ad arrestarlo. «Questo signore non può tornare alla presidenza del paese. Legalmente è inabilitato. Secondo la Costituzione non può esercitare più di due mandati e lui è stato eletto già tre volte. Le forze armate hanno la missione di far rispettare la Carta costituzionale».

Se la grave ingerenza politica è stata immediatamente condannata dall’ala evista del Movimiento Al Socialismo, già da tempo passata di fatto all’opposizione, non sembra sia stata gradita neppure dal presidente Arce, il quale, pur fortemente interessato a impedire la quinta candidatura del suo avversario – la quarta è finita come è noto, con un golpe pagato a caro prezzo dalla popolazione – ha proceduto a destituire il generale.

LA SITUAZIONE è allora precipitata: con un’azione di forza sostenuta anche dai comandanti della marina e dell’aeronautica Juan Arnez Salvador e Marcelo Zegarra, un centinaio di militari guidati da Zúñiga ha occupato Plaza Murillo, di fronte alla sede del governo, mentre un carro armato sfondava le porte del Palacio Quemado. «È un dovere delle forze armate» salvare «un’altra volta» il paese: «basta impoverire la patria e umiliare l’esercito», spiegava Zúñiga alla stampa, assicurando che, pur riconoscendo «per il momento» l’autorità di Arce, presto sarebbe stato nominato un nuovo governo – «il nostro paese non può andare avanti così» – e sarebbero stati rimessi in libertà i golpisti del 2019, cioè Jeanine Áñez, Luis Fernando Camacho e i militari coinvolti.

DIVERSAMENTE da allora, tuttavia, la polizia militare è rimasta leale al presidente e così tutto è rientrato nel giro di tre ore, con l’arresto di Zúñiga e di Juan Arnez Salvador e la nomina da parte di Arce di nuovi vertici militari: il generale José Wilson Sánchez Velásquez come comandante dell’esercito, il generale Gerardo Zabala a capo dell’aeronautica e il vice ammiraglio Renán Guardia alla guida della marina. «Tutto è sotto controllo», ha garantito il ministro della difesa Edmundo Novillo, invitando la popolazione, che si era riversata nella piazza in difesa del governo, a «riprendere le proprie attività», mentre il presidente ha salutato «i militari che portano l’uniforme con orgoglio», a differenza di chi ha tentato di «ripetere la storia».

Tuttavia, una volta arrestato, Zúñiga ha di nuovo sorpreso tutti, dichiarando, senza presentare prove, che l’assalto al palazzo di governo era stato concordato con Arce per risollevare la sua popolarità. Una versione che, in assenza di riscontri, risulta però poco credibile: sarebbe stata, la sua, un’ingenuità davvero imbarazzante se si fosse fidato appena di un accordo verbale senza coprirsi le spalle. Di autogolpe, in ogni caso, ha subito parlato sia l’opposizione di destra, denunciando – per bocca della deputata Luisa Nayar – l’«incredibile show politico» organizzato dagli «irresponsabili, incapaci e corrotti» inquilini di Palacio Quemado, sia l’ala evista, convinta che lo scontro faccia a faccia del presidente con il generale e i suoi soldati fosse tutta una montatura.

«NON PERMETTERÒ questa insubordinazione», aveva dichiarato Arce, dicendosi pronto ad «affrontare qualsiasi tentativo golpista» e invitando il popolo a mobilitarsi in difesa della democrazia. Una scena che, in mezzo alle indecorose lotte intestine del Mas, di sicuro gioca a favore del presidente, tanto più di fronte all’impietoso paragone con il Morales del 2019, fuggito in fretta e in furia senza lasciare neppure una direttiva a chi restava nel paese.