È diffusa la percezione di un ritardo storico dell’Italia nelle tematiche lgbtiq rispetto allo spazio europeo, in realtà la storia dei movimenti di gay, lesbiche e trans del nostro paese è coerente e connessa con quanto accaduto nel resto d’Europa: il movimento di liberazione omosessuale nasce in Italia nei primi anni Settanta nella stessa onda in cui prende forma nella maggior parte dei paesi europei. La percezione del ritardo è da attribuire a una memoria collettiva molto fragile che ha fatto dimenticare gli esordi – e non solo – del movimento e la lotta visionaria e appassionata di chi, spesso pagando prezzi molti alti nella propria vita, ha aperto brecce.

Tra quest*, un posto speciale deve essere riservato a Mariasilvia Spolato, padovana, politicamente attiva a Roma, che è morta il 31 ottobre scorso, a ottantadue anni, a Bolzano, nella casa di riposo dove era stata accolta quasi vent’anni fa, dopo un’esistenza vissuta in gran parte per strada e sui treni, tra le tante persone senza fissa dimora che vivono nelle nostre città. Infatti, prima di scivolare in una vita al margine, Spolato è stata la prima in Italia a dare un volto a quella presa di parola che ha dato vita ai movimenti lgbtiq: nel 1972 partecipò al primo 8 marzo italiano in piazza Navona, con un cartello che portava da sola – «dannatamente sola» commenta oggi Edda Billi, una delle colonne del femminismo romano -, quel cartello recava la scritta «Liberazione omosessuale».

È il primo atto di visibilità omosessuale in una piazza italiana. La foto di Spolato, lesbica orgogliosa, finisce su Panorama e determina il suo licenziamento dalla scuola statale dove insegnava matematica. L’aver collaborato con l’università e la pubblicazione di un manuale di insiemistica non sono sufficienti a impedire un licenziamento che alcune ricordano essere stato decretato per «indegnità»: le compagne che la accompagnano a verificarne le cause ricordano la foto che aveva fatto di lei una lesbica visibile nel fascicolo che motivava il provvedimento. Per molte lesbiche di quella generazione, questo licenziamento diviene paradigmatico della discriminazione del lesbismo, questo epilogo assume i caratteri di un destino segnato per chi non si vuole nascondere.

MA LA SUA non è un’esperienza tutta in solitaria, è ancora lei infatti che mette in allarme i compagni del neonato Fuori (Fronte Unitario Omosessuale rivoluzionario Italiano), la prima organizzazione omosessuale italiana, riguardo al convegno di sessuologia di Sanremo che ha in programma la «cura» dell’omosessualità: la manifestazione di lesbiche e gay davanti ai locali del congresso il 5 aprile 1972 è la nostra piccola Stonewall. Mariasilvia è là insieme a militanti arrivat* dall’Italia, dall’Inghilterra, dal Belgio, dalla Francia che riescono a far chiudere anticipatamente il congresso. Ancor prima, nell’estate del 1971, racconta la stessa Spolato, aveva dato vita con alcune amiche provenienti dal femminismo al Fronte di Liberazione Omosessuale (Flo), partendo dall’idea che le lesbiche dovessero liberarsi dalla «doppia oppressione» dovuta all’essere donne e omosessuali al contempo. Può sorgere il dubbio che dietro la sigla Flo in realtà ci sia solo lei, che la usi per firmare volantini distribuiti nell’attesa di aggregare altre, come quello con cui partecipa a Roma nel gennaio 1972 alla manifestazione antifascista durante la crisi di governo in seguito a cui si insedia l’esecutivo monocolore democristiano guidato da Andreotti. Nel testo si denuncia la violenza dei ruoli maschile e femminile, intesi come «dipendenza e sfruttamento», che fa delle persone omosessuali «i più diretti alleati del femminismo».

In quello stesso 1971, Spolato prende contatti con il francese Fhar (Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire) e viene a sapere che altri in Italia si sono mossi e stanno costituendo il Fuori: la firma di Spolato è così presente fin dal primo numero della rivista Fuori! con l’articolo Lesbiche uniamoci! che è un manifesto politico. Nell’estate del 1971 Spolato aveva anche visitato in Olanda Massimo Consoli, militante omosessuale della prima ora deceduto nel 2007, e raccolto documenti su omosessualità e lesbismo che pubblica nel suo libro I movimenti omosessuali di liberazione (Samonà e Savelli, 1972). Ritroviamo Spolato poi alla prima uscita di piazza del movimento omosessuale romano, il 1 maggio 1972 «contro il lavoro», a Campo dei Fiori. Lei stessa racconta: «Ho addobbato una pattumiera a pedale in modo da esprimere l’uscita delle lesbiche dal mondo capitalistico borghese, aprendola, col premere il pedale, si dice FUORI!».

PUR ESSENDO a livello nazionale uno dei nomi di spicco del Fuori, Spolato a Roma frequenta parimenti il collettivo femminista di via Pompeo Magno, partecipa così sia al movimento omosessuale che a quello femminista e si preoccupa di far transitare le giovani lesbiche che arrivano nella sede del Fuori romano al Pompeo Magno, dove le lesbiche sono molte e quindi vi è possibile una socialità, difficile invece in uno spazio a maggioranza maschile. Le compagne del Pompeo Magno continuano a essere per lei un riferimento anche quando comincia a vivere per strada, ancora Edda Billi la ricorda «con due borsone come tutte le donne che stanno per strada e hanno sempre delle borse dove tengono di tutto». Lei portava con sé scritti, fogli, libri. Poi le tracce si perdono ma tutte quelle che l’hanno conosciuta ricordano la sua sferzante intelligenza e soprattutto la sua urgenza e la sua determinazione di uscir fuori come lesbica. In questi giorni che seguono la sua morte, l’oblio che ha cancellato Spolato per lunghi anni sembra almeno parzialmente infrangersi e ci rinfranca sapere che fortunatamente non è stato totale: alcune, da quando aveva trovato rifugio a Bolzano, hanno voluto esprimerle la gratitudine delle lesbiche italiane recapitandole di tanto in tanto pacchi di doni e dolciumi.

Nonostante ciò, la consapevolezza di averla collettivamente dimenticata potrebbe aiutarci a rimettere al centro da una parte la memoria, dall’altra la relazione e la cura e solidarietà reciproche necessarie alle politiche di movimento: andare e tornare tutt* insieme. Ma ricordare Mariasilvia oggi, nell’epoca della consacrazione della normalizzazione, è anche una spinta a rimettere in discussione la marginalizzazione e la cancellazione di tutte le espressioni di radicalità dei nostri movimenti senza le quali, come la storia di Mariasilvia Spolato dimostra, il cambiamento non avrebbe avuto luogo e probabilmente non avrà luogo in futuro.