«Siamo l’esempio perfetto del fatto che non sia sempre necessario vincere». E’ Il Ballo della Vita signore e signori e ce lo cantano i Maneskin che, al netto del fatto che suonano duro e sono super sexy, sono dei ragazzini. E fino a qui, vincere hanno vinto e non poco. Intanto la libertà: di essere ciò che volevano essere e fare cosa volevano fare, e realizzare un sogno. Nell’anno delle sedie vuote e delle cover dedicate ai CCP/CSI, hanno certamente vinto loro nel duetto di Amandoti con Manuel Agnelli. E se è vero che un pochino (non troppo ino) la canzone ne ricordava una di qualche anno fa degli Anthony Laszlo, ne escono da principi. Picco di energia e creatività, glamour ed estetica. In attesa dell’uscita dell’album Teatro d’ira – Vol.I, il 19 marzo.

Davvero la vittoria non vi interessava?

«Un buon posizionamento fa sempre piacere. La cosa importante però, oltre a esprimersi con la musica, è ciò che sta succedendo fuori, e noi sentiamo un bel bollore ed energia nel sottosuolo. Siamo carichi anche per quello che verrà».

Una riflessione sui giovani che vi seguono.

«I nostri coetanei hanno passato un anno duro, fatto di frustrazione e solitudine, senza socialità, magari anche con situazioni difficili a casa. Hanno bisogno di stimoli che non facciano perdere loro la voglia di migliorarsi e stare bene, nonostante la situazione. E’ stato difficile anche per noi, però la musica ci ha aiutato parecchio durante il lockdown, non ci potevamo vedere ma ci siamo scambiati pezzi e brani a distanza, e siamo stati di supporto uno con l’altro».

Come è nata Zitti e Buoni?

«È un brano su cui stavamo lavorando da quattro anni, poi è cresciuto con noi a livello di arrangiamento e suoni, ci rappresenta al 100% e abbiamo pensato fosse perfetto come apripista del nostro nuovo progetto discografico. Ci sono sonorità crude e distorte e le atmosfere live che ci appartengono molto. Ha un messaggio forte contro i pregiudizi. È un pezzo che parla principalmente di redenzione e voglia di spaccare il mondo con la musica».

Sanremo è stato finora l’unico palco vivo.

«Il nostro pensiero va a tutti i lavoratori dello spettacolo, fra cui abbiamo molti amici e con i quali abbiamo condiviso molte esperienze nello scorso tour. Accendere un riflettore su di loro era importantissimo. Bisogna ricordarsi che per far salire un gruppo sul palco ci sono centinaia di lavoratori dietro le quinte che permettono che questo avvenga. Ci auguriamo di poter tornare presto ai live e che quindi si possa ricominciare a lavorare e suonare in sicurezza».

In questo Festival c’era un po’ tutta la scena italiana. Come vi posizionate?

«Siamo molto orgogliosi di aver fatto parte di questo cast che rappresenta il panorama contemporaneo, guardiamo con ammirazione e rispetto tutti i nostri colleghi. Abbiamo potuto portare la nostra identità musicale senza metterci limiti davanti a un pubblico così ampio e porre l’attenzione sul nostro genere che non va propriamente nella direzione dei brani in classifica. Può far strano vedere ragazzi della nostra età suonare degli strumenti analogici o voler formare un gruppo. Certo, avere una band è un impegno complicato da portare avanti, imparare uno strumento, andare in sala prove. Però è veramente una soddisfazione potersi esprimere così».

Dove sta andando la vostra musica?

«Per noi la musica è la nostra ragione di vita. Vogliamo rimanere autentici al 100%. A fine anno sono previsti due concerti e sarà una grande emozione calcare per la prima volta il palco dei palazzetti. Le date previste sono il 14 dicembre al Palazzo dello Sport di Roma e il 18 dicembre al Mediolanum Forum di Assago».