All’indomani del successo elettorale in Abruzzo Matteo Salvini aveva spiegato: «Per il governo non cambia niente, approveremo le leggi in agenda». Detto fatto. Ieri è arrivata la notizia della chiusura dell’accordo fra regioni e ministero dell’economia su quella che i favorevoli chiamano «autonomia differenziata» e gli ostili «autonomia rafforzata». Entrambi i nomi sono largamente approssimati per difetto rispetto alle conseguenze nel tessuto vivo di tutto il paese. La bozza, che ha cominciato a circolare ieri nel tardo pomeriggio approderà al consiglio dei ministri di stasera. I protagonisti della trattativa esultano, anche se fonti governative dei 5 Stelle raffreddano gli entusiasmi, non tutto dalle parti dei ministeri a guida grillina (trasporti, salute, ambiente) è risolto. Difficile però che la Lega, forte della sua vittoria conceda troppe dilazioni. E probabile che la legge andrà avanti di pari passo con il reddito di cittadinanza, su cui non a caso il partito di Salvini ha già scaricato un numero sospetto ed eloquente di emendamenti.

«Sui testi delle intese per l’autonomia differenziata è stato raggiunto l’accordo sulla parte finanziaria», dice la nota congiunta del viceministro dell’economia Massimo Garavaglia e la ministra per gli affari regionali Erika Stefani. Due leghisti. La nota annuncia la chiusura «positiva» dell’accordo al Mef, prevede «l’approdo ai costi e fabbisogni standard partendo da una fase iniziale calcolata sul costo storico. La copertura sarà a saldo zero e le risorse sono garantite tramite la compartecipazione di imposte».

Zaia e Fontana, i due governatori di Veneto e Lombardia, hanno più volte assicurato che non si sarebbero fermati se non dopo aver incassato la devoluzione di tutte le 23 materie fin qui concorrenti con lo stato. D’accordo, anche se in una versione attenuata, il presidente dem dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Del resto l’accordo di queste ore è direttamente figlio della pre-intesa firmata un anno fa dal governo Gentiloni. Il che complica naturalmente l’atteggiamento dell’opposizione dem. Ieri Stefano Fassina (Leu) e l’ambientalista Roberto Della Seta hanno dato del «secessionista» a Bonaccini. Perché nella bozza firmata si esplicita che «i fabbisogni standard, per i quali le regioni si tratterranno le tasse, sono definite in relazione al gettito dei tributi della regione: «È secessione dei ricchi» attacca Fassina.

Se mai il Consiglio dei ministri riuscirà a licenziare un testo questa sera (riunione alle 19), magari nella formula dilatoria del «salvo intese», dovrà poi confermarlo nell’accordo firmato con ognuna della regioni capofila. E poi trasferire il tutto in un disegno di legge che andrà approvato dalle camere a maggioranza assoluta, e sulle modalità del voto (se cioè il parlamento potrà o meno emendare il testo) è già battaglia.

Il mondo della sanità e quello della scuola da tempo ormai indicano il pericolo di spezzare l’Italia in due. Il presidente della Campania Vincenzo De Luca tuona: «Faremo di tutto per bloccare il processo dell’autonomia differenziata se vengono meno le questioni di contenuto e metodo democratico. Siamo pronti al ricorso alla Corte Costituzionale, alla mobilitazione sociale e alla lotta». L’autonomia differenziata taglia in due anche il Pd. Michele Emiliano dopo l’iniziale favore ora si è schierato sul fronte del No. Con Bonaccini invece è schierato il presidente (uscente) del Piemonte Sergio Chiamparino. Anche Forza Italia è spaccata a metà. Giovanni Toti, il forzista presidente della Liguria, ormai quinta colonna della Lega a casa Berlusconi, è pronto a trattare anche per la sua regione.

Muti i 5 stelle, occupati a attestarsi sulla linea del No Tav e rassegnati a concedere all’alleato-avversario un provvedimento simbolo, e ormai impossibilitati ad arginare le richieste di Salvini, da contratto o meno. E proprio per non umiliare l’avversario, il ministro dell’interno a Montecitorio non esulta: «Mi sto occupando solo di pastori sardi», dice. E già non è chiaro perché dovrebbe farlo il capo del Viminale. Se non per tentare il colpaccio anche alle imminenti elezioni regionali nell’isola.

Garavaglia butta acqua sul fuoco: «Il regionalismo differenziato è un sistema innovativo: ogni preoccupazione sull’impianto generale dello stato è del tutto infondata». Il presidente della Lombardia Fontana invece non rinuncia al ruolo di piromane: «In effetti qualcuno rischia, gli amministratori del sud che non sono stati capaci».