Riemerge alle cronache di attualità politico-finanziaria un termine che sembrava quasi sparito: il default.
Era comparso in una luce quasi terroristica durante la crisi dei debiti sovrani – al grande pubblico, il concetto in ambiti più specialisti esisteva già ovviamente – con il dubbio che l’Italia potesse venir meno ai suoi impegni finanziari verso i propri creditori e andare in bancarotta. Tale narrativa era una esagerazione di difficoltà contingenti, che saltava a piè pari il meccanismo che imprigiona gli Stati dell’eurozona nei capricci dei mercati finanziari e delle potenti agenzie di rating, ma soprattutto era una distorsione del concetto: il default significa venir meno agli impegni, e non necessariamente per una bancarotta totale; nella storia dello sviluppo capitalistico gli episodi sono numerosi. Alcuni paesi come Argentina, Ecuador e Islanda si sono rifiutati di pagare in quanto il debito era stato contratto in maniera vessatoria rispetto al compito primario che ha uno Stato democratico: il benessere del suo popolo. Quindi l’insolvenza sovrana può essere non solo un obiettivo di liberazione dai lacci dei mercati finanziari ma un atto pienamente legittimato a livello di diritto internazionale. Va ricordato che nel 1863 la Francia di Napoleone III invase il Messico a seguito di una dichiarazione di insolvenza e che qualche anno più tardi la Gran Bretagna occupò l’Egitto per la stessa ragione.

Nel caso della Federazione Russa è diverso. Come tutti gli Stati ha un debito pubblico, piuttosto basso: 19,2% sul pil nel 2020, 17% nel 2021 e prevede il FMI 16,7% per il 2022; i creditori in parte sono stranieri, anche se dopo il 2014 la Russia ha diminuito molto la sua esposizione verso l’Occidente.
Nonostante la guerra e le sanzioni Mosca ha continuato a pagare regolarmente i propri creditori, non realizzandosi le aspettative di default di aprile scorso. In ciò il Tesoro Usa aveva concesso una scappatoia per permettere ai propri creditori di incassare. Adesso a quanto pare tale finestra si è chiusa, l’amministrazione di Biden ha deciso di spingere la Russia al default, e la transazione che doveva essere compiuta col limite massimo del 27 giugno non è avvvenuta. Moody’s dichiara l’insolvenza.

Il ministro russo delle Finanze da parte sua nega il problema: secondo lui il pagamento è partito a maggio e se non ha raggiunto i destinatari non è un suo problema.
È un mondo rovesciato: solitamente i governi spingono a far rimborsare i loro creditori ad ogni costo, in questo caso il debitore fa di tutto per pagare ma è lo stato di destinazione a creare problemi.A parte un episodio di insolvenza nel 1998, è la prima volta che Mosca entra in default dai tempi di Lenin, quando i bolscevichi decisero che non avrebbero onorato gli impegni contratti dal governo dello Zar.

A breve termine non ci saranno conseguenze significative. A seguito di una insolvenza normalmente il paese viene attaccato e subisce pressioni politico-diplomatiche; i beni dei suoi cittadini ed aziende all’estero possono venir congelati e sequestrati, e si perde la fiducia dei mercati internazionali. Ma questo nei confronti della Russia sta già avvenendo, ed in maniera inusitata, con l’esclusione completa dai mercati finanziari internazionali. Alcuni analisti avanzano l’opinione che una dichiarazione formale di inadempienza debitoria bollerebbe il paese per un periodo più lungo di quanto non possano durare le sanzioni, ma il periodo per cui Mosca resterà un paria per gli Stati occidentali non è conoscibile oggi.

Il governo russo fa sapere che se tale dichiarazione avverrà ricorrerà al tribunale contro tale stigma. Non ha specificato a quale foro legale si possa ricorrere nel contesto in cui tutte le istanze istituzionali super partes sono state indotte a schierarsi. Non sappiamo come finirà la vicenda, le dinamiche debitorie durano decenni, anche quando l’attenzione mediatica è scemata, ma è probabile che tale atto costituisca un ulteriore suggello dello svincolarsi del gigante asiatico dall’Occidente per sospingerlo verso altre potenze emergenti, creando un panorama di nuovi blocchi contrapposti.