Dodicesimo giorno di combattimenti nel Tigray tra l’esercito federale etiope appoggiato dalle milizie regionali amhariche da una parte e le forze speciali del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf) dall’altra. Con denunce di crimini di guerra incrociate, raid aerei dell’aviazione etiope e razzi che dal sul territorio tigrino cominciano a piovere sulla confinante regione degli Amhara. Su tutto, mentre si allungano i tempi di quella che per il primo ministro etiope Abiy Ahmed doveva essere un’operazione lampo volta a ristabilire lo stato di diritto nelle regione ribelle, il timore sempre più realistico di una carneficina, con relativa catastrofe umanitaria.

La guerra ha già spinto circa 15 mila persone a varcare il confine con il Sudan e i racconti di chi fugge preccupano le organizzazioni umanitarie, che continuano a non avere accesso alla zona malgrado gli appelli in tal senso rivolti da Onu e Unione africana al governo etiope.

CRESCE D’INTENSITÀ anche la guerra di propaganda, tra dinsformazione e non informazione. Le immagini taroccate di moderne batterie antiaeree che difenderebbero i cieli del Tigray o le rovine fumanti di un jet etiope ipoteticamente abbattuto, cercano di far passare l’idea che le forze tigrine dispongano di una dotazione militare più che all’altezza. Ma sarebbero bastati coltelli e machete a uccidere decine, forse centinaia di persone nella città di Mai-Kadra lo scorso 9 novembre. Un massacro di cui riferisce Amnnesty International attraverso le numerose testimonianze che puntano il dito contro i miliziani del Tplf.

Interrotta ogni via di comunicazione con la regione, oscurata la rete e silenziata la telefonia cellulare, ad avere il pallino dell’informazione in questa fase resta Addis Abeba. Nella capitale è stata diffusa venerdì sera la notizia di razzi lanciati da postazioni tigrine verso le città di Gondar e Bahir Dar, con danni inferti ai locali aeroporti. Il governatore del Tigray Debretsion Gebremichael, ormai ex in quanto destituito nei giorni scorsi dal parlamento di Addis Abeba e accusato di tradimento e terrorismo, all’inizio non era in grado di confermare ma si limitava ad approvare. Solo ieri è arrivata la rivendicazione del Comando centrale del Tigray. Il portavoce Getachew Reda dagli schermi di una tv regionale è andato ben oltre, minacciando di colpire anche la vicina Eritrea. A conferma di come il conflitto rischia di infiammare tutta l’area, prestando il fianco a regolamenti di vecchi conti. Un patto tra Asmara e Addis contro i leader della regione ribelle, espressione di un’élite che ha dominato per oltre trent’anni la politica e l’economia del paese, sarebbe nell’ordine delle cose.

AHMED PER ORA RIVENDICA la «liberazione» di ampie porzioni di territorio tigrino, nega che i bombardamenti abbiano sfiorato un solo civile e soprattutto insiste sull’imminente raggiungimento degli obiettivi che si era prefissato con questa offensiva. Ma il richiamo di migliaia di soldati dal fronte somalo, dove l’Etiopia sostiene il pericolante governo di Mogadiscio contro i jihadisti di al Shabaab, raccontano un’altra storia.

ULTIMORA, RAZZI SULLA CAPITALE ERITREA. Dalle minacce ai fatti. Nella serata di sabato 14 novembre almeno tre razzi partiti dal territorio del Tigray hanno colpito a Asmara l’aeroporto della città e il ministero dell’Informazione. Il Tplf rivendica accusando l’Eritrea di appoggiare l’offensiva federale etiope decisa dal governo di Addis Abeba. Il governo eritreo da parte sua conferma l’attacco ma nega che ci siano stati danni alle infrastrutture o vittime. Ma il Paese con questo è ufficialmente coinvolto nel conflitto che infuria oltreconfine.