Togliete Twitter al direttore della agenzia spaziale russa Dmitry Rogozin. Dall’inizio della guerra il capo di Roscosmos usa i social per provocare, insultare e soprattutto minacciare: a suo dire, le sanzioni alla Russia rischiano di far precipitare la Stazione Spaziale Internazionale (Iss).

Ieri Rogozin è andato oltre e ha scritto una lettera ai partner della Iss Usa, Ue, Giappone e Canada: «Il funzionamento delle navicelle russe che riforniscono l’Iss – ha scritto – sarà interrotto dalle sanzioni, interessando il segmento russo della stazione che serve, tra le altre cose, a correggere l’orbita della struttura orbitale (un’operazione che va fatta periodicamente, ndr). Di conseguenza ciò potrebbe causare l’ammaraggio o l’atterraggio della Iss».

In perfetto stile-Trump, Rogozin ha trovato un degno interlocutore dall’altra parte dell’oceano: l’ex-astronauta statunitense Scott Kelly, che ha trascorso in orbita sulla Iss oltre un anno della sua vita. «Forse troverai lavoro da McDonald’s, se McDonald’s in Russia ci sarà ancora», la sua risposta. Tutta la conversazione, insulti compresi, è avvenuta in russo, lingua che ogni astronauta deve conoscere prima di partire per la Iss: molte tecnologie usate nello spazio vengono dai laboratori di Mosca.

Programmi spaziali complessi come la Iss, un progetto nato negli anni ’90 per suggellare il nuovo clima post-guerra fredda, non dipendono dalle baruffe via Twitter, fortunatamente. Al momento, rassicura la Nasa, non sono previste interruzioni della collaborazione con il partner Roscosmos.

Proprio ieri la nave-cargo russa Progress agganciata alla Iss ha acceso i motori per spostarne l’orbita di 900 metri, sotto il controllo della base di Korolev. Dovessero venire meno i mezzi russi, «abbiamo la capacità di controllare l’orbita della stazione indipendentemente dall’agenzia russa», ha detto Kelly ad Abc News. Sulla Iss l’attività procede febbrile e tra i due cosmonauti russi e i quattro astronauti americani non si registrano screzi.

Ma, al di là degli eccessi di Rogozin, la cooperazione spaziale inizia a risentire della guerra soprattutto sul lato europeo. Visto il clima, l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ha cancellato l’incontro pubblico del 3 marzo con Matthias Maurer, astronauta tedesco attualmente in missione sull’Iss. Il 28 febbraio l’Esa aveva annunciato che «attuerà pienamente le sanzioni imposte contro la Russia dagli stati membri».

Sulla Iss «è in corso una valutazione» e «le decisioni saranno allineate a quelle dei partner industriali e internazionali», leggi Nasa. Per il programma marziano ExoMars «le sanzioni e il contesto generale rendono molto improbabile un lancio nel 2022», data inizialmente stabilita.

A metà aprile, a bordo della Iss dovrebbe tornare Samantha Cristoforetti: non avrà il comando di tutta l’Iss come inizialmente previsto ma solo dei moduli occidentali.

Secondo i rumors l’astronauta italiana era in Russia al momento dell’invasione e ha dovuto interrompere l’addestramento necessario per il controllo della parte russa. Cristoforetti viaggerà sulla navetta Crew Dragon di Elon Musk e non sulla russa Soyuz come nelle precedenti missioni, ma questo era già nei piani.

Il destino dei prossimi anni della Iss è a rischio. Fino a poche settimane fa i vertici di Nasa e Roscosmos erano al lavoro per prolungarne l’operatività fino al 2030, mentre il programma iniziale prevedeva di smantellarla nel 2024. Con l’invasione, il dialogo si è azzerato.

Gli stessi dilemmi di tutti i programmi internazionali di Big Science, la cui pianificazione avviene su orizzonti decennali. Interrompere il legame tra scienziati russi e occidentali a causa della guerra è difficile tanto quanto immaginare progetti comuni.

L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (Cern) ha annunciato che non avvierà nuove collaborazioni con le istituzioni russe, ma l’azienda statale russa TVEL è tra i possibili fornitori dei magneti superconduttori necessari per gli acceleratori del futuro già in progettazione a Ginevra. Si tratta dei magneti più potenti mai costruiti e spostare altrove la produzione non sarebbe facile. Le aziende cinesi hanno già fatto sapere al Cern di poter subentrare.

I magneti superconduttori sono cruciali anche per ITER, il reattore sperimentale a fusione nucleare in costruzione a Cadarache (Francia) a cui collabora anche la Russia, che si trasforma in un rompicapo. La fusione nucleare permetterebbe di emanciparsi dagli idrocarburi russi, ma senza l’aiuto di Mosca l’obiettivo dell’energia pulita rischia di allontanarsi.

Uno dei magneti superconduttori necessari per confinare il plasma che alimenta la reazione arriverà dall’Istituto Efremov di Mosca, anch’esso controllato dal Cremlino.

A differenza del Cern l’organizzazione non ha deciso nulla sulla collaborazione russa. «Il progetto ITER è un accordo multilaterale che coinvolge Russia, Ue, Stati uniti, Cina, Giappone, Corea e India – spiega Paola Batistoni, referente ITER per l’Italia – Quindi non c’è un’unica posizione al suo interno. Ogni membro porterà la sua posizione in merito alla crisi in un incontro che dovrebbe tenersi la prossima estate. Al momento non si possono fare previsioni».

ITER può andare avanti senza la Russia? «Oltre l’80% del reattore è già completato. Ma la Russia fornisce componenti importanti: se dovesse uscire dalla collaborazione, il progetto andrebbe avanti ma certamente subirebbe ritardi».