Non l’hanno vista arrivare, Elly Schlein. Anzi, all’inizio non l’hanno vista proprio. Roma, 6 ottobre del 2012, all’Hotel Ergife va in scena l’assemblea nazionale del Pd in preparazione delle primarie. Schlein è lì, insieme ad altri, a fare «Occupy primarie»: con le sagome cartonate di Bersani e Renzi invita i presenti a farsi una foto. Un gesto simbolico per «riempire di contenuti» il confronto che dovrà scegliere il candidato premier della coalizione di centrosinistra, perché «sin qui si è parlato solo di nomi». La giovane Elly domanda a chiunque di fermarsi, qualcuno lo fa con la faccia di chi concede il contentino, tanti altri passano senza nemmeno guardare: Fassino, D’Alema, Fioroni, Franceschini. Nessuno di loro sospetta che quella ragazza con la telecamera un giorno avrebbe scalato tutte le gerarchie.

Prima di diventare Schlein, Elly era una ragazza che si occupava sostanzialmente di due cose: il cinema e la politica studentesca. Inviata a Locarno per tre anni dalla rivista svizzera Cooperazione, in seguito Schlein avrebbe lavorato come direttrice del casting per «La Svizzera contro Rigazzi», buffa serie su un ragazzo italiano che arriva a Zurigo ed è incapace di relazionarsi con gli altri perché fa sempre la cosa sbagliata al momento meno opportuno, poi a Cinecittà come segretaria di edizione per il documentario «Anija – La nave», peraltro vincitore nella sua categoria ai David di Donatello del 2013.

Sull’altro fronte insieme alla Sinistra Universitaria di Bologna, dove si era trasferita per gli studi, Elly Schlein ha prima guidato la campagna della lista «Giurisprudenza democratica» e poi dal 2008, per due mandati, consigliera di facoltà. È nello stesso anno che, armata soltanto di un biglietto aereo e forte di una cugina di stanza a Chicago, Schlein parte per seguire il rush finale della prima vittoriosa campagna di Obama, esperienza che ripeterà nel 2012 e che ancora oggi è documentata sul suo blog «Una settimana con Obama». In mezzo la fondazione, sempre a Bologna, dell’associazione Progrè, specializzata in migranti e carceri, temi a cui l’universitaria Elly avrebbe dedicato sia la sua tesi di laurea triennale in criminologia («Criminalizzazione e sovrarappresentazione dei migranti tra la situazione italiana e quella svizzera») sia quella magistrale in diritto internazionale («Straniero e diritti tra normativa e giurisprudenza costituzionale: tendenze recenti»): 110 e lode in entrambi i casi.

Chi la frequentava all’epoca dei suoi esordi la descrive come «infaticabile», ma aggiunge pure che quella veramente inserita nel contesto della politica studentesca era sua sorella Susanna, segretaria dell’Udu a Padova all’inizio degli anni 2000 e ora consigliera d’ambasciata ad Atene. Elly, dal canto suo, dopo le esperienze universitarie, ha approcciato il Partito democratico da contestatrice, prima con Occupy Primarie e poi con l’epopea di Occupy Pd, l’occupazione simbolica di alcune sedi dopo il disastro dei 101 che sbarrarono la strada per il Quirinale a Romano Prodi nel 2013 e il drammatico tramonto della segreteria Bersani. Alla vigilia dell’accordo tra Pd e Pdl scrisse su Twitter: «Se fanno premier Enrico Letta, con tutti i danni che ha fatto da solo nel Pd, la marcia su Roma la faccio io».

Da lì il crescendo: europarlamentare eletta (anche) grazie al famoso 40% di Renzi nel 2014, fuoriuscita insieme al suo (ex) nume tutelare Civati – forse l’unico esponente della storia del Pd incapace di fare carriera per sé ma in grado di lasciare un’eredità -, un passaggio in Green Italia e poi il rush finale. Candidata alla segreteria del Pd prima ancora di rifare la tessera e infine vincitrice. Non l’hanno vista, ma alla fine è arrivata.