Cinque maledetti secondi. Tanto è durata la reazione di fusione nucleare tra atomi di deuterio e trizio all’interno del reattore sperimentale Joint European Torus (Jet) installato nei dintorni della cittadina inglese di Oxford. In quei pochi istanti la fusione di deuterio e trizio ha prodotto 59 milioni di joule di energia. Non tantissima, in assoluto: basta per far bollire duecento litri d’acqua. Ma non si era mai riusciti a far funzionare un reattore a fusione per un tempo così lungo – o non così breve – a una potenza di 11 megawatt.

«È il risultato di anni di preparazione da parte del team Eurofusion di ricercatori provenienti da tutta Europa» dice il direttore del programma Tony Donné. «Il record ottenuto, e soprattutto quello che abbiamo appreso sulla fusione in queste condizioni operative e il fatto che i risultati confermino pienamente le predizioni, mostrano che siamo sulla strada giusta verso un mondo futuro in cui l’energia da fusione giocherà un ruolo importante. Se riusciamo a mantenere la fusione per cinque secondi, potremo farlo per cinque minuti e poi per cinque ore, se scaliamo al funzionamento delle future macchine a fusione». L’Italia è il secondo contributore a Eurofusion: le attività italiane sono coordinate dall’Enea, e riuniscono una ventina tra università, enti di ricerca grandi imprese come Eni e Ansaldo.

Plasma nel dispositivo tokamak sferico Mast

UN REATTORE A FUSIONE nucleare sfrutta l’energia che si libera quando nuclei di atomi – il deuterio e il trizio nel caso del Jet – vengono compressi fino a unirsi. È lo stesso processo attraverso cui il Sole genera il calore che scalda anche il nostro pianeta. Dato che i nuclei sono carichi positivamente e si respingono, per ottenere la fusione è necessario portarli allo stato di plasma e a una temperatura di circa 150 milioni di gradi. Il processo genera più energia di quella che si ottiene nei reattori tradizionali basati sulla scissione degli atomi, e soprattutto produce una limitata quantità di scorie. La fusione genera innocui nuclei di elio e neutroni. I componenti metallici del reattore, invece, acquistano una certa radioattività. Ma dura circa centocinquant’anni e non comporta i grandi problemi di smaltimento delle scorie nucleari tradizionali, che richiedono la progettazione di depositi di durata geologica.

OTTENERE GRANDI QUANTITÀ di energia in modo pulito però ha un costo: mantenere il combustibile in quelle condizioni estreme di temperatura richiede a sua volta enormi quantità di energia. E finora nessun reattore è stato in grado di generare più energia di quanta ne consumi. Anche nel caso del record di ieri, l’energia ottenuta è stata circa il 33% di quella fornita al reattore.

«L’obiettivo del reattore sperimentale di Oxford non è raggiungere il pareggio energetico, impossibile per un reattore dimostrativo di piccole dimensioni, quanto testare tutte le fasi del funzionamento di un reattore più grande», spiega Paola Batistoni, responsabile della Sezione Sviluppo e Promozione della Fusione dell’Enea. «Cinque secondi possono sembrare pochi», aggiunge Batistoni. «Ma dimostrano che la fusione ha raggiunto un regime quasi stazionario: se non viene sostenuta, la reazione si spegne in una frazione di secondo».

Il reattore in cui trasferire queste tecnologie sperimentali si chiama Iter, ed è attualmente in costruzione a Cadarache, in Francia con il contributo di Europa, Russia, Stati Uniti, India, Cina e Giappone. «Anche Iter sarà un reattore sperimentale. Ma avrà un volume dieci volte superiore a Jet, e l’obiettivo di produrre dieci volte più energia di quanta ne consumi», prosegue Batistoni. La fusione dovrebbe auto-sostenersi. «A fornire l’energia necessaria a sostenere il plasma, infatti, saranno i nuclei dell’elio prodotti nella fusione stessa, mentre quella dei neutroni sarà trasferita all’esterno del reattore per diventare energia elettrica».

La costruzione di Iter dovrebbe continuare fino al 2026, per poi avviarne il collaudo. L’obiettivo di è fornire 500 megawatt di potenza nel 2034.
A un possibile successo di Iter fino a qualche anno fa credevano in pochi. Da qualche anno, invece, le attività nel campo della fusione procedono a ritmo frenetico. Nonostante gli studi pionieristici condotti in Urss da Andrei Sakharov (dissidente e futuro Nobel per la pace) ne abbiano gettato le basi tecnologiche già negli anni Sessanta, nell’ultimo decennio lo studio della fusione ha ricevuto un grande impulso sul piano applicativo.

Tutte le grandi potenze oggi possiedono impianti sperimentali o ne stanno costruendo. Anche l’Italia: a Frascati l’Enea, insieme all’Ansaldo e all’Eni, sta costruendo il reattore sperimentale Divertor Tokamak Test (Dtt), in cui saranno sperimentate tecnologie di smaltimento del calore (il «divertore») destinate ad essere utilizzate a Iter. Se il reattore di Cadarache darà i risultati sperati, l’Ue ha già elaborato una roadmap che conduca alla realizzazione di una sua prima centrale dimostrativa battezzata Demo, in grado di immettere due gigawatt di energia nella rete elettrica. La quantità di energia prodotta, secondo l’attuale progetto, dovrebbe essere 25 volte superiore a quella consumata. Ma non entrerà in funzione prima del 2050.

L’ACCELERAZIONE di questi anni è dovuta ai progressi tecnologici e non solo. «C’è soprattutto l’urgenza di decarbonizzare l’economia», dice Batistoni. «Giusto puntare sulle energie rinnovabili, ma per avere una disponibilità di energia stabile si può puntare a enormi accumulatori, con un grande impatto ambientale, o a nuove fonti di energia come la fusione». Nei decenni passati, per la verità, la profezia dell’avvento della fusione è stata smentita più volte. E anche se i risultati ottenuti sono molto promettenti, la strada è ancora molto lunga.

L’interesse intorno alla fusione non deve dunque distrarre dall’emergenza climatica, né costituire un alibi per rinviare o annullare gli impegni a ridurre drasticamente le emissioni. Anche nella più ottimistica delle proiezioni, la disponibilità di energia a basso impatto ambientale richiederà ancora molti decenni: sicuramente più di quelli concessi dal riscaldamento globale.