Inizia oggi di fronte alla corte d’assise speciale, nella più grande aula del nuovo tribunale giudiziario di Parigi alla Porte de Clichy, la sala 2.02, il processo per gli attentati che hanno avuto luogo nella capitale francese dal 7 al 9 gennaio 2015, alla redazione di Charlie Hebdo, a Montrouge e al supermercato kosher HyperCacher alla Porte de Vincennes, che hanno causato la morte di 17 persone e sono stati rivendicati da Al Qaeda e dallo Stato islamico. Eccezionalmente, il processo sarà filmato per lasciare un documento storico. Il processo durerà dieci settimane, la sentenza è prevista per il 10 novembre prossimo.

Ci sono 14 imputati, solo 11 presenti, tutti delle seconde figure, perché i principali responsabili, i fratelli Kouachi per l’attacco a Charlie Hebdo e Amedy Coulibaly per Montrouge e l’HyperCacher, sono stati uccisi il 9 gennaio 2015, i primi in una tipografia dove si erano asserragliati prendendo in ostaggio il titolare dopo due giorni di fuga, il secondo durante l’attacco al grande magazzino alimentare. Inoltre, un altro personaggio importante della trama terroristica, il presunto mandante dell’attacco a Charlie Hebdo, Peter Chérif, che è in carcere in Francia, sarà giudicato in un altro processo, perché al momento dell’arresto nel 2018 a Gibuti, l’inchiesta principale sugli attentati del gennaio 2015 era già conclusa.

Tra gli imputati, solo Ali Riza Polat, braccio destro di Coulibaly, rischia l’ergastolo. Gli altri, incorrono al massimo in 10 anni, per aiuto logistico e associazione a delinquere. Tre gli imputati assenti, i fratelli Mohamed e Mehdi Belhoucine, probabilmente deceduti in Siria con Daech e la sola donna, Hayat Boummediene, che aveva sposato religiosamente Coulibaly e che di recente una testimone ha assicurato di aver visto in un campo siriano tenuto dai Curdi.

L’INCHIESTA ha messo in luce che i due attacchi, del 7 e 9 gennaio, erano coordinati. E che i terroristi avevano progetti per altri attentati. I Kouachi e Coulibaly avevano avuto i primi contatti in carcere. Avevano stabilito legami con un responsabile degli attentati alla stazione della linea Rer Saint-Michel di Parigi nel luglio del 1995. Una settimana dopo, a Verviers in Belgio, viene sventata una cospirazione di 3 jihadisti. Su un video dello Stato islamico, Abdelhamid Abaaoud, l’organizzatore degli attentati del novembre 2015 al Bataclan e a Saint-Denis, che hanno fatto 130 morti e 350 feriti, si vanta di essere fuggito all’arresto.

Mentre la Francia e l’Europa rivivono nelle prossime settimane le ore che hanno segnato l’irruzione della violenza a Parigi – la lunga ondata degli attacchi era iniziata nel 2012 a Tolosa con l’agguato alla scuola ebraica ed è proseguita a Parigi nel novembre 2015 con l’attentato al Bataclan, poi a Nizza nel 2016 e si è estesa in Belgio oltre ad altri episodi minori in Francia – il ministro degli Interni ha messo in guardia: «Il rischio di terrorismo» non è finito, quello di «origine sunnita» per Gérald Darmanin resta «la principale minaccia», con «una componente esterna» che si addiziona a «una minaccia endogena», che «è la più forte». Ci sono 8.132 schedati nel file della segnalazione per la prevenzione della radicalizzazione a carattere terroristico (Fsprt).

TUTTI SI RICORDANO in Francia che cosa facevano nella tarda mattinata del 7 gennaio 2015. In un minuto e 49 secondi, la redazione di Charlie Hebdo è stata annientata, con 34 pallottole di kalashnikov. Poco dopo le 11, i fratelli Kouachi si recano in rue Nicolas Appert, nell’11° arrondissement, ma non sanno precisamente dov’è la redazione. Entrano nella portineria, dove ci sono degli operai per la manutenzione e sparano, uccidendo Frédéric Boisseau. Per farsi aprire minacciano di morte la disegnatrice Coco. Charlie Hebdo era nel mirino, dopo la pubblicazione delle caricature di Maometto. «Abbiamo vendicato il profeta» diranno dopo il massacro i fratelli Kouachi. Dieci morti a Charlie Hebdo: i disegnatori Charb, Philippe Honoré, Cabu, Wolinski, Tignous, l’economista Bernard Maris, il correttore Mustapha Ourrad, il poliziotto Frank Brinsolaro, un invitato che era lì per caso, Michel Renaud e la psichiatra collaboratrice del settimanale, Elsa Cayat, la sola donna uccisa anche se Chérif Kouachi aveva appena detto a Sigolène Vinson, l’unica superstite del massacro: «Non uccidiamo le donne». Ci sono 4 feriti gravi, tra cui il disegnatore Riss e il giornalista-scrittore Philippe Lançon. Alle 11,35 i Kouachi scappano e nella fuga uccidono un agente, Ahmed Merabet. Inizia una fuga di due giorni. Il 9 sono individuati da un benzinaio nella periferia di Parigi, sequestrano un’auto e si rifugiano in una tipografia a Dammartin-en-Goële, dove verranno uccisi alle 16,50.

LA VIGILIA, L’8 GENNAIO, c’è un altro doppio attacco. Amedy Coulibaly uccide una poliziotta a Montrouge, Clarissa Jean-Philippe. Poi va alla Porte de Vincennes e entra nell’HyperCacher, prende in ostaggio personale e clienti e uccide 4 persone, l’impiegato Yohan Cohen e i clienti Philippe Braham, François-Michel Saada, Yoav Hattab. Tiene per 4 ore in ostaggio 18 persone e verifica se hanno cognomi ebrei. Alle 17,10 Amedy Coulibaly è ucciso dalle forze di polizia.

Nei due sequestri, alla tipografia di Dammartin e all’HyperCacher, sia i fratelli Kouachi che Coulibaly prendono contatto con i media, parlano al telefono con dei giornalisti tv e radio, mettono in scena il loro gesto.

IL PAESE È SCONVOLTO. Il presidente François Hollande organizza una risposta della cittadinanza e del mondo politico internazionale. L’11 gennaio sfilano a Parigi milioni di persone, senza paura, in silenzio. Capi di stato e di governo partecipano alla marcia, con i tiratori speciali piazzati sui tetti dei palazzi vicino a place de la République per sventare un eventuale attentato. Ma non tutta la Francia partecipa e aderisce alla dichiarazione Je suis Charlie. In alcune classi, degli allievi rifiutano di rispettare il minuto di silenzio per le vittime degli attentati. Si alzano delle voci per criticare la libertà di parola di Charlie Hebdo. Si conia lo slogan Je ne suis pas Charlie, a cui aderiscono persone spinte dall’origine o dall’appartenenza religiosa. Nel paese cresce una frattura.

GLI 11 IMPUTATI compaiono di fronte alla corte d’assise speciale, composta da 5 magistrati, senza giuria popolare (come tutti i processi per terrorismo dopo le minacce di cui erano stati vittime i giurati al processo di Action Directe nel 1986). Il presidente è Régis de Jorna, che ha già giudicato gli attentati in Corsica e l’appello di Carlos, per gli attentati del 1982-83. L’accusa è composta da tre magistrati, Jean-Michel Bourlès, Jean-François Ricard e Julie Holveck. Ci sono 20 avvocati della difesa, le arringhe sono previste a partire dal 3 novembre, dopo la requisitoria dell’accusa, il 2. Dal 27 ottobre, interverranno i 65 avvocati delle parti civili. Dopo il rapporto del presidente del tribunale e l’esame delle personalità degli imputati (i prossimi 3 giorni), per tre settimane si esprimeranno le parti civili, le vittime e i loro famigliari. Dal 28 settembre, ci sarà l’analisi dell’inchiesta e dal 5 ottobre l’esame delle responsabilità individuali degli imputati. La sentenza è prevista il 10 novembre.

È importante che il processo venga filmato, resterà come documento storico, come lo sono stati eccezionalmente i processi a Klaus Barbie nel 1987, a Paul Touvier nel 1994, a Maurice Papon nel 1997-98 (legati alla repressione del nazi-fascismo), quello a tre imputati per il genocidio Tutsi in Ruanda, quello dell’esplosione alla Azf di Tolosa e il processo per diffamazione al negazionista Robert Faurisson nel 2007. Nella prossima primavera ci sarà il processo per gli attentati del novembre 2015, al Bataclan e a Saint-Denis.