Dopo Mali e Burkina Faso, venerdì scorso i militari francesi hanno abbandonato definitivamente il Niger. Un ritiro richiesto dalla giunta militare nigerina che, insieme alla chiusura dell’ambasciata a Niamey, sancisce la fine del modello francese di lotta contro il terrorismo di matrice jihadista nel Sahel.

Presente nella regione dal 2013, la Francia aveva schierato fino a 5.500 uomini nell’ambito dell’operazione anti-jihadista Barkhane, in collaborazione con gli eserciti maliano, burkinabé e nigerino. Aveva inoltre ottenuto il dispiegamento di forze speciali dei partner europei – con l’appoggio logistico della base Usa a Niamey – impegnati nella missione a mandato europeo della Forza Takuba, con ancora 200 militari italiani presenti nel paese.

DOPO UNA SERIE di colpi di stato, Mali, Burkina Faso e Niger hanno richiesto il ritiro dei militari francesi dai loro paesi a causa di un «approccio inadeguato» da parte di Parigi, con una presenza vissuta anche dalle popolazioni locali come «un prolungamento degli accordi post-coloniali con la Francia», senza «nessun risultato concreto o collaborazione attiva con i governi locali».

Anche gli Stati uniti si sono adeguati agli attuali equilibri nel Sahel – in precedenza dettati dalle indicazioni di Parigi – visto che per il momento gli oltre 1.200 militari statunitensi restano in Niger in attesa di stabilire «nuove collaborazioni legate alla sicurezza con la giunta militare al potere», come affermato dall’ambasciatrice Usa a Niamey, Kathleen FitzGibbon. Una decisione che tenta di porre un freno alla progressiva espansione da parte di Mosca in tutto il Sahel.

In questi anni l’unico paese estero che ha visto progressivamente aumentare la propria sfera di influenza è stata la Russia, insieme al gruppo di mercenari della compagnia Wagner. Secondo gli ultimi dati forniti dall’ong All Eyes on Wagner (Aew), la presenza russa si sarebbe ormai «definitivamente radicata in Mali», con i mercenari russi protagonisti anche nella lotta di Bamako contro gli indipendentisti Tuareg e la presa della città di Kidal.

A Ouagadougou sono già presenti alcune decine di istruttori e addestratori militari russi, anche se le autorità non hanno confermato la loro presenza. Ed è appena stata firmata una partnership russo-nigerina a Niamey, i cui termini restano sconosciuti.

Nonostante la progressiva riorganizzazione voluta da Mosca – con una supervisione diretta da parte del ministero della difesa sul gruppo mercenario – Wagner continua nella sua fase di espansione nel Sahel e viene considerato «fondamentale per la politica russa nel continente africano», come spiegato di recente dal ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. «Poco importa dei massacri di civili inermi o dell’attuale ascesa dei gruppi jihadisti – ha affermato Lou Osborn di Aew – Wagner guadagna denaro dalle miniere d’oro e serve alla Russia per gli equilibri geo-politici nell’area».

IL FUTURO sarà deciso da un probabile confronto diretto tra i gruppi jihadisti – il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato islamico del Sahel (Eis) – e i tre paesi guidati da giunte militari, che a settembre hanno creato l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes) relativa anche a un «partenariato militare di assistenza e soccorso nella lotta al jihadismo».

«I governi del Sahel continuano a investire troppo nella risposta militare, prima con la Francia e adesso con la Russia, senza ottenere risultati concreti perché trascurano gli aspetti politici, sociali ed economici nei loro paesi», ha detto al riguardo Jean-Hervé Jézéquel, direttore dell’International Crisis Group (Icg).