«Il MoSe vedrà la luce, non sarà un’incompiuta ma la dimostrazione dell’efficienza della gente veneta». Così si esprimeva il 9 giugno 2010, l’allora neo-presidente della Regione Veneto Luca Zaia con orgoglio regional-patriottico. È la stessa persona che la scorsa settimana, forse in preda a un temporaneo raptus o disturbo della personalità, ai microfoni dichiarava: «Ci sono cinque miliardi di euro sott’acqua, non abbiamo ancora ben capito perché non siano in funzione, che fine ha fatto il MoSE? Bella domanda, è un progetto dello Stato centrale. Non sappiamo nemmeno se funziona». Giancarlo Galan, l’ex governatore forzista al centro dello scandalo tangenti legate alla maxi-opera, si è addirittura spinto oltre, affermando: «Solo responsabilità di Roma, noi veneti non c’entriamo niente». Quasi fosse un semplice passante accidentale in visita sul luogo del misfatto.

Se si affronta la lettura de Il MoSe salverà Venezia? scritto dagli ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani e Paolo Vielmo per un attimo si resta spaesati nel vedere quante soluzioni alternative a quella messa in opera furono scartate e si viene a conoscenza del clamoroso processo di difesa a mezzo querela-facile operato dal Consorzio Venezia Nuova contro chiunque, anche sulla base di analisi e dati, provasse a manifestare e dimostrare la propria opposizione al progetto MoSE. Qualunque studioso si opponesse veniva combattuto e ostracizzato.

La cosa certa appare che in definitiva non fu scelto in quanto la migliore delle soluzioni possibile, quanto la più costosa delle possibili. L’idea stessa di non creare una barriera fissa, oltre certo ai danni che si dice avrebbe recato all’intero ecosistema lagunare, andava fortemente d’accordo con il passaggio delle “grandi navi”, sia quelle da crociera che avrebbero raggiunto il Tronchetto, sia quelle che avrebbero costantemente attraversato il cosiddetto Canale dei Petroli, dirette a Marghera. Per far passare le cosiddette “grandi navi”, i canali delle principali bocche di porto sono stati scavati da 7 a 12 metri, facendo di fatto diventare sempre di più la laguna un pezzo di Adriatico. Il sindaco Brugnaro, da parte sua, non ha mai dichiarato di opporsi al fenomeno. La sua è la stessa giunta comunale, così attenta a tenersi stretta e a salvaguardare il passaggio di questi “mostri marini” che deturpano il bacino di San Marco, che guarda con favore l’idea dell’escavazione di un ulteriore canale, quello di Contorta Sant’Angelo, per portarlo da sei a più di sessanta metri di profondità, un intervento giudicato all’unanimità dall’intera comunità scientifica indipendente, dall’Istituto di Idraulica dell’Università di Padova, e dall’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti come “devastante”.

Pellestrina

È poi lo stesso sindaco che ha contribuito a politicizzare tutto, anche il Centro Maree, dove le nomine non si sa se siano state fatte per meriti o per appartenenze politiche. Centro operativo che tra le altre cose sembra essere sprovvisto di un meccanismo di comunicazione delle allerte efficace.

Si è parlato tanto di Venezia, Venezia, Venezia, ma Pellestrina? Qui tra i Murazzi (le storiche opere difensive messe in atto ai tempi della Serenissima) e il muretto sul lato laguna, l’acqua è rimasta immobile nel centro abitato anche i giorni seguenti, piatta e ferma come in una vasca da bagno. E perché? Perché le centraline elettriche che regolavano il funzionamento delle pompe idrauliche che avrebbero dovuto entrare in funzione per espellere l’acqua sono state brillantemente costruite ad altezza marciapiede, andando così tutte in corto all’istante. «Il sindaco di Chioggia ha un valido sistema di comunicazione telefonico, perché non si può fare con noi?» chiede Isabella Vianello, residente di Pellestrina, al governatore Luca Zaia e al sindaco Luigi Brugnaro, arrivati dopo il disastro anche nell’“isola dei pescatori”, il primo dice di chiedere al secondo, il secondo di chiedere allo Stato.

«Io gli ho detto che a me interessa non succeda più una tragedia simile e lui mi ha risposto “allora a ti no te daremo nessun rimborso”, in veneziano e dandomi del tu». Al che lei replica dicendo che se anche avesse dovuto ricevere un rimborso il problema stava alla base e che pure una volta risolta temporaneamente la soluzione e ricomprato tutti gli elettrodomestici, se non si mettono in atto misure a lungo termine, sia di prevenzione che di allerta, va buttato tutto di nuovo. Al che il sindaco replica: «No ti capissi, dobbiamo ottenere i fondi per alzare la banchina lato Laguna (inutile, se le pompe non funzionano ndr) e per terminare il Mose, non per telefonarti a casa». La Vianello poi si sfoga: «Gli ho detto che abbiamo bisogno di non essere dimenticati, l’allarme era stato dato solo per Venezia e non per Lido, Pellestrina e isole, eravamo tutti tranquilli sul divano senza nessuna comunicazione, e ci siamo trovati con l’acqua in soggiorno da un momento all’altro».

Stoicamente, le forze politiche che in Piazza San Marco la settimana scorsa, piedi a mollo nell’acqua salmastra, chiedevano con forza, anche scaricando le proprie personali responsabilità, che il MoSe andasse completato sono gli stessi che lo hanno sempre voluto e dichiarato insostituibile fin dal principio. Come ricorda la Professoressa Andreina Zitelli, già docente di analisi e valutazione ambientale allo Iuav, che faceva parte della commissione Via – Valutazione di impatto ambientale, che ha valutato, per poi bocciarlo, quel progetto, sono in pochi a rammentare che fu solo per le veementi spinte dell’allora Governo Berlusconi che, sull’onda della cosiddetta Legge Obiettivo, si diede avvio a quell’opera faraonica. La decisione di realizzare il MoSE rispetto ad un’altra soluzione fu prettamente politica, non tecnica.

Ora si richiedono ulteriori risorse straordinarie, da sommare ai soldi spesi e a quelli rubati, dichiarando che i danni sono ingenti e che ne serviranno molti altri per portare a compimento quell’opera tanto indispensabile, in quel tipico atteggiamento che puzza tanto di chiagni e fotti all’italiana. Gianfranco Bettin dei Verdi rincara: «Il sindaco di Venezia Brugnaro ora evoca il problema del cambiamento climatico? Benvenuto tra coloro che si svegliano adesso e che ci raggiungono laddove noi siamo da qualche decennio. La verità è che lui e altri politici vorrebbero utilizzare l’argomento del global warming sul quale si sono svegliati oggi per spingere verso la conclusione del Mose. Sono tutte chiacchiere».

Appare quantomeno discutibile la nomina frettolosa dell’attuale sindaco di Venezia a co-commissario, al fianco di Elisabetta Spitz, architetto immobiliarista già in passato consulente dello stesso Consorzio Venezia Nuova. Forse sarebbe stato più opportuno un tecnico, magari con competenze di ingegneria idraulica. Curiosamente se si vanno ad analizzare le dichiarazioni di questi ultimi giorni tra chi si dichiara favorevole al completamento da una parte (all’opposizione) si trovano molti esperti del settore, che per competenze specifiche, vedi ad esempio il professor Luigi D’Alpaos, emerito di Ingegneria idraulica dell’Università di Padova, da sempre strenuo oppositore del progetto e in generale persone che nel proprio cursus studiorum vantano lauree in Ingegneria o sono climatologi, tra i favorevoli invece le voci sono quasi sempre quelle di semplici politici.

«Il MoSE va finito, è un’opera completata al 93%» si sente dire. Che cosa vorrà mai dire una percentuale del genere poi, a nessuno è dato saperlo. Se poi anche la “Ferrari senza freni”, come è stata definita dall’Ingegner Alberto Scotti, uno dei progettisti dell’opera , dovesse un giorno anche vedere la fine dei lavori – fatto che rimane tutto da verificare – quello che inizia a preoccupare è il dopo. Già al momento trovare qualcuno che si sbilanci su una stima dei possibili costi di manutenzione annua appare cosa assai ardua, perché tutti hanno paura di pronunciare quella cifra. Il fondale della laguna non è un elemento fisso e stabile, è in costante movimento e qualsiasi elemento solido vi sia immerso, oltre all’azione corrosiva della ruggine è inevitabilmente soggetto al deposito di sedimenti vari che potrebbero creare problemi enormi alla movimentazione di un’opera dotata di parti mobili che giaccia sul suo fondale. Che cosa accadrà quando le concrezioni calcaree irrigidiranno la rotazione delle cerniere? O peggio, quando queste concrezioni produrranno una disastrosa, quanto altamente probabile asimmetria nella movimentazione dei cassoni?

Una cosa va finita non a prescindere, ma solo se poi si ha la garanzia che funzioni, perché correre anche quel rischio, in questo momento, è davvero troppo.