«Il muro è una ferita che taglia il deserto per 2.720 km. Separa le famiglie, recide i legami, divide in due un popolo. Abbiamo voluto utilizzare l’immagine di una cicatrice, anche fisica, per rappresentare quello che idealmente questa barriera rappresenta per i Saharawi. Un popolo che lotta da quasi mezzo secolo per l’indipendenza della sua terra, sezionata dalle matite dei colonizzatori europei nell’Ottocento e oggi sfregiata da un muro militare, che l’Europa continua a finanziare, più o meno direttamente, stringendo accordi di pesca e anti-immigrazione con il Marocco. Il muro è una fredda istallazione militare, ma la sua presenza nella quotidianità dei saharawi è viva e reale».

COSÌ IL GIORNALISTA E FILMAKER Gilberto Mastromatteo racconta Il Muro: La Ferita Del Sahara, documentario di cui è autore e regista assieme a Fiorella Bendoni. La centralità nella narrazione di quello che viene indicato dagli stessi saharawi come «muro della vergogna», risulta particolarmente azzeccata, in quanto capace di sintetizzare al meglio la lunga e complessa sequela di avvenimenti storici, sociali e politici che sono dietro alla drammatica situazione odierna.
Muovendosi tra i campi profughi in territorio algerino e l’area dei territori liberati nelle zone di Bir Lahlou, Tifariti e Guelta Zemmour, i due autori hanno messo assieme testimonianze di donne e uomini che hanno raccontato come la feroce scissura architettonica realizzata dai marocchini durante gli anni Ottanta abbia cambiato per sempre le vite di migliaia di persone. La ferita senza soluzione di continuità non è solo geografica, ma sociale e tragicamente, anatomica, a causa dei milioni di mine antiuomo e anticarro a protezione del muro, che da decenni uccidono uomini e animali.

Le vicende degli intervistati divengono storie con una enorme forza comunicativa che raccontano di vite che da un certo momento in poi non sono più le stesse, sia quando è palesemente scritto sul corpo di chi ha perso una gamba saltando in aria, sia quando la cicatrice è emotiva, come si evince dai racconti della giovane sminatrice Fatimetu Bashir Mehdi. E altrettanto quando per evitare che ciò accada, si assiste all’insegnamento scolastico dato ai minori di modo che possano riconoscere una mina al fine di evitare situazioni pericolose.

METTENDO ASSIEME I MONDI personali di lavoratori, ex combattenti, allevatori e popolazione infantile, Bendoni e Mastromatteo riescono a raggiungere un azzeccato equilibrio narrativo, dando una visione d’insieme rispondente alla dura realtà di fronte alla quale si sono trovati durante le riprese, effettuate tra il 2018 ed il 2019. Il film, patrocinato da Amnesty e dall’intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo saharawi, è stato presentato lo scorso ottobre al settimo Film Festival Dei Diritti Umani di Lugano.