Nel loro ultimo rapporto presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il gruppo di esperti della missione Indipendent Fact-Finding Mission on Lybia (Iffm) documenta «un’interminabile serie di violazioni dei diritti umani perpetrate sia contro i libici che contro i migranti», che evidenziano una «situazione terribile nel paese».

«Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che siano stati commessi crimini contro l’umanità in Libia», ha affermato la commissione d’inchiesta. Dall’inizio del loro mandato nel 2020, gli investigatori hanno raccolto più di 2800 interviste a testimoni e vittime. «In questi tre anni le violenze si sono moltiplicate – ha spiegato Mohamed Auajjar, capo della Iffm – la missione ha documentato casi di detenzione arbitraria, omicidi, torture, stupri, schiavitù sessuale e sparizioni forzate, confermando pratiche diffuse e violenze in tutto il paese».

Per la prima volta la missione aggiunge quello che molti migranti, soprattutto donne, riferiscono nei loro racconti all’arrivo in Italia o in altri paesi europei: la schiavitù sessuale che si aggiunge all’elenco delle violazioni dei diritti umani, praticate in particolare nei centri di detenzione per migranti di Mabani, al-Shwarif, Zuwarah, Sabratha, Sabha e Bani Walid.
«La missione si rammarica che queste vittime di crimini efferati siano state, oltre a uomini e donne, bambini e minorenni che hanno un disperato bisogno di protezione», ha affermato Auajjar. Secondo le testimonianze di numerosi migranti detenuti nei centri di Maya, Ayn Zarah e Gharyan, «la loro preoccupazione non era morire nelle acque del Mediterraneo, ma tornare nella prigione dove profughi e migranti sono oppressi e torturati dalle guardie».

«Le donne migranti vengono regolarmente stuprate come prassi usuale nei centri di detenzione – ha spiegato Tracy Robinson, membro della missione – abbiamo riscontrato anche casi di schiavitù di persone vendute a soggetti esterni per svolgere vari servizi, con un’infinità di segnalazioni che non eravamo stati in grado di stabilire nei nostri precedenti cicli di monitoraggio».

Le Nazioni Unite hanno, inoltre, documentato numerosi casi di collusione fra le autorità libiche, gruppi armati nominalmente integrati nelle forze di sicurezza e organizzazioni criminali perché «lo sfruttamento dei migranti è indubbiamente fra i business più lucrativi dell’economia di guerra della Libia». Un esempio è legato all’attività di Abd al-Rahman Milad (alias Al Bija) – capo della Guardia costiera libica nel settore di Zawiya – che è stato sanzionato dall’Onu «per traffico di migranti» o riguardo a Imad Trabelsi (capo delle milizie di Zintan), attuale ministro dell’interno del Governo di unità nazionale (Gnu) guidato da Abdul Hamid Dbeibah – che lo scorso febbraio ha incontrato a Roma il suo omologo italiano Piantedosi proprio riguardo alla gestione dei migranti.

Presentando il rapporto, Mohamed Auajjar ha affermato che l’assistenza dell’Ue alle autorità libiche, «ha aiutato e incoraggiato la commissione di questi crimini, compresi quelli contro l’umanità», visto che «molti migranti, alcuni dei quali avrebbero potuto ottenere asilo, sono stati fermati, detenuti e sbarcati in Libia con l’unico scopo di impedirne l’ingresso in Europa, a corollario della politica europea sull’immigrazione».

Riguardo alla presentazione del rapporto la Commissione europea ha affermato di aver preso le accuse «molto sul serio», pur sottolineando che il lavoro in Libia è stato svolto in coordinamento con le agenzie delle Nazioni Unite, confutando le accuse secondo cui l’Ue pagherebbe pur di trattenere i migranti in Libia. Da parte sua il governo di Tripoli ha respinto il rapporto e, attraverso il ministero degli esteri, ha invitato «la missione delle Nazioni Unite a presentare alle autorità le sue informazioni sulle vittime di violenza e schiavitù sessuale o sulle accuse di connivenza con i  trafficanti».

Nella sua audizione a Ginevra l’Iffm ha indicato che comunicherà all’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani un elenco di «altri possibili autori di questi crimini», affinché le politiche europee – e italiane – in materia di migrazioni irregolari siano ponderate alla luce di queste informazioni e delle loro implicazioni in termini «di mancato rispetto del diritto internazionale».