Alex è forte, fortissimo. Di una tempra e una gioia di vivere quasi disarmante, che lascia senza corazza l’interlocutore, una volta chiusa la conversazione di persona o al telefono.

Zanardi è grave, gravissimo. In queste ore sta lottando (mentre scriviamo è in terapia intensiva dopo un delicato intervento al cervello) per vincere l’ennesima prova che la vita gli ha piazzato contro, ieri sulla statale 146 nel comune di Pienza, in provincia di Siena.

Uno scontro con un mezzo pesante durante una tappa della staffetta di Obiettivo Tricolore, il viaggio che vede in gara 50 paralimpici (bici e carrozzina) di handbike, dalla Lombardia alla Puglia, chilometri e solidarietà, con il sostegno della federazione ciclistica italiana, per far conoscere sulla strada lo sport paralimpico, per reclutare atleti, magari portandoli fino alle Paralimpiadi.

Avrebbe perso il controllo del mezzo, sulla dinamica ovviamente non ci sono ancora certezze, se non quella del ct della nazionale italiana di paraciclismo, Mario Valentini, secondo cui la bici del campione sarebbe finita per qualche centimetro nella corsia opposta in una semicurva, senza riuscire a evitare un camion.

La sterzata del mezzo, inutile, lo scontro con il campione bolognese, rimbalzato sulla strada.Impatto devastante, Zanardi è stato portato in elisoccorso all’ospedale Le Scotte di Siena. Le fonti ospedaliere, i giornalisti che gli stanno vicino dagli inizi della carriera, riportano immediatamente la gravità della situazione. Esteso trauma cranico, subito in sala operatoria, l’intervento al cervello, il bollettino medico dell’ospedale, poco prima delle 20.

La vita appesa a un filo. Di nuovo.

Un’altra porta girevole, come quelle al saloon dei film western, che torna indietro.

Questa staffetta dell’handbike, partita dal Friuli e diretta in Salento, era un modo per svegliare il Paese, dare un segnale che dopo il punto più basso, la paura di non farcela, c’è la risalita.

Lavorando, faticando il triplo, ma c’è la risalita. Lezione mandata a memoria da circa 20 anni, dal tremendo incidente che gli costò le gambe sul circuito tedesco di Lausitzring, 15 settembre 2001, nel campionato DTM, la sua passione dopo aver corso anche in F1, Formula Indy.

Il rientro ai box con la Reynard Honda, il rifornimento, la vettura che perde il controllo, testacoda e impatto con un’altra auto. Per salvargli la vita fu necessaria l’amputazione degli arti inferiori. L’estrema unzione, sei settimane di ricovero, il dolore.

Ma assieme al sorriso trama subito sulla ripartenza. Di scrivere un altro capitolo di storia, anche nello sport.

Prima, un titolo nel campionato italiano superturismo, perché il piede era sempre sull’acceleratore e il talento luccicante, ma il focus era diventare campione paralimpico.

Il podio ai Giochi su due ruote era la benzina emotiva per allenarsi ogni giorno, per fare fatica, sacrifici, sorridere, vivere. Ma senza dimenticare il triathlon, ovunque ci fosse competizione.

Vinceva gare, pensava già a quella successiva, perché il godimento è sempre nel viaggio, lo ha spiegato più volte anche al sottoscritto, non con la coppa in mano.

Nel paraciclismo si è messo dietro il mondo: quattro medaglie d’oro ai Giochi di Londra 2012, altrettanti a Rio de Janeiro, quattro anni dopo e poi 12 titoli ai campionati mondiali su strada. In mezzo, un percorso nella vita degli italiani, scolpendo la sua forza negli spettatori durante i programmi sportivi, come Sfide su Rai3, in cui si impossessava della telecamera con quegli occhi decisi, malinconici, vivi. Senza mai mollare di un centimetro, come nelle gare Ironman, sempre ironico con se stesso e la sua condizione da disabile.

E un altro colpo di acceleratore l’ha dato un paio di mesi fa, quando il Covid-19 gli ha sfilato dal taschino le Paralimpiadi di Tokyo. A 54 anni forse sarebbe stata l’ultima volta con i cinque cerchi. Anche se ha elevato ad arte la sfida quotidiana contro se stessi.

«Dentro di sé si può avere una forma di vita, se potessi lo aiuterei», diceva Zanardi su Michael Schumacher qualche giorno fa al Corriere dello Sport.

Ayrton Senna, un altro benedetto dagli dei della velocità ma in credito con la sorte, è sempre stato il suo idolo, talento e lavoro.

Da Federica Pellegrini e i fuoriclasse dello sport fino al presidente del consiglio Conte il flusso di sostegno sui social è già incessante.