I tunisini si avviano già spossati a una rovente campagna elettorale che durerà fino all’autunno, prima le presidenziali anticipate di due mesi per la morte del capo dello Stato Béji Caïd Essebsi e poi le legislative ai primi di ottobre. La dead-line per il deposito delle candidature per le presidenziali era ieri mentre i cittadini erano alle prese con temperature percepite di sei o sette gradi superiori alla media, e con un’economia che continua a non andare affatto bene, il dinaro tunisino ha infatti perso quasi la metà del valore che aveva solo quattro anni fa e il costo della vita aumentato di quarto nel frattempo, facendo indebitare le famiglie, e gli occhi sono puntati sul confine libico, da cui stanno arrivando flussi di migranti africani che il Paese non sembra in grado di accogliere.

È proprio di questi giorni la denuncia, confermata dall’Onu e dall’Oim, della terribile storia di un gruppo di 36 migranti ivoriani, incluso bambini piccoli e donne, fermati nella città costiera di Sfax dalle autorità tunisine senza documenti d’ingresso e trasferiti, meglio sarebbe dire respinti illegalmente, senza che avessero neppure un colloquio con operatori umanitari, oltre la frontiera con la Libia, in una zona desertica del distretto di Ben Guardane senza cibo né acqua. Sarebbe successo lo scorso 3 agosto ma secondo l’ong italiana Melting Pot sarebbero state più d’una queste deportazioni oltre la frontiera libica da parte delle guardie tunisine.

Nel frattempo sui media si parla soprattutto di candidature, liste, sbarramenti e esclusioni. Pare che i partiti si siano trovati spiazzati dal decesso, lo scorso 25 luglio, del presidente Essebsi, ma ancor più dalla sua ostinata riluttanza a promulgare la riforma della legge elettorale, prima del malore che lo ha ucciso, che avrebbe dovuto introdurre una soglia del 3 per cento per entrare nell’Assemblea nazionale e una serie di altre modifiche che tanto stavano a cuore al primo ministro Youssef Chahed, il quale ha alla fine confermato che si presenterà alle presidenziali del 15 settembre – con tanta compagnia, i candidati sono almeno 69 – e lui è tra i favoriti, avendo per altro iniziato una campagna elettorale in anticipo senza per ora nessuna intenzione di dimettersi.

Chahed proviene dal partito “modernista” Nida Tounes di Essebsi, ma ne ha fondato uno suo, Tahya Tounes, che gli ha consentito di governare con gli islamisti di Ennadha, prima forza politica del Paese. Ed Ennadha in effetti presenta un candidato di bandiera, il vice presidente e cofondatore – con il leader Rachid Ghannouchi – Abdelfattah Mourou, 71 anni, che sostiene una presa di distanza parziale dall’ideologia dei Fratelli musulmani. Una parte dell’elettorato islamista potrebbe teoricamente convergere sull’ex presidente ad interim Moncef Marzouki, di nuovo in pista dopo il primo mandato subito dopo la “rivoluzione dei gelsomini” e primo a sdoganare politicamente Ennadha come partito di governo. Altro nome di punta è l’ex ministro della Difesa, Abdelkarim Zbidi, che si è dimesso per presentarsi al voto per Nidaa Tounes, considerato quello di più stretta continuità con il vecchio establishment di Ben Ali, anche perché sostenuto attivamente dall’imprenditore Kamel Letaief, e gradito agli Stati Uniti.

Tra le 69 candidature depositate per il successore di Essebsi, incluso il patron di Nessma tv, principale rete televisiva tunisina, Nabil Karoui, il leader del partito «destouriano liber» Abir Moussi e il leader del Partito dei lavoratori Hamma Hammadi. Quest’ultimo non è però l’unico a presentarsi del Fronte popolare: deve spartirsi il 7 per cento dell’elettorato frontista con Mongi Rahoui, nella litigiosa e disunita sinistra tunisina. Ricorda qualcosa?