Dopo 20 anni di potere incontrastato, ieri Abdelaziz Bouteflika ha annunciato le sue dimissioni da presidente. È passato un mese e mezzo dall’inizio delle proteste popolari in vista del voto inizialmente previsto per il 18 aprile: l’intero paese si è riempito di milioni di manifestanti contro la candidatura di Bouteflika al quinto mandato.

Le elezioni sono state sospese, le proteste no. Fino a ieri quando la tv di Stato ha dato l’annuncio: Bouteflika (che lunedì aveva detto che avrebbe lasciato entro il 28 aprile) si è dimesso subito.

Una tempistica figlia del pressing del capo di stato maggiore Gaid Salah. Intervenuto una settimana fa proponendo l’applicazione dell’articolo 102 della Costituzione (che prevede la sostituzione del presidente se non fisicamente in grado di governare), ieri il capo dell’esercito e vice ministro della Difesa ha di fatto imposto a Bouteflika di mollare immediatamente: «La nostra decisione è chiara e irrevocabile – ha detto – Sosteniamo il popolo fino all’accoglimento delle sue richieste».

In realtà – come fanno notare le centinaia di migliaia di manifestanti che ancora in questi giorni protestano in tutta l’Algeria – il sistema che il capo delle forze armate rappresenta, l’entourage plasmato e radicato da Bouteflika, sta solo tentando di salvare se stesso.

Non finisce qui. Quella che finisce è però un’era, fatta di quattro mandati presidenziali: il leader 82enne algerino è stato eletto la prima volta nel 1999, dopo gli anni di piombo della guerra civile e 200mila morti. La sua carriera politica è iniziata negli anni ’50 quando si è unito al National Liberation Army contro la Francia coloniale. Nel 1962, anno dell’indipendenza, è entrato nel governo: a soli 25 anni ministro dei giovani, a 26 ministro degli Esteri.