Un grande ritorno si prepara domani sera al Teatro Vascello (fino a mercoledì 23); anzi una novità sorprendente. In un anno funestato dagli anniversari (resta ancora da smaltire l’abbuffata dantesca, la cui Commedia tutti tentano di illustrare, raccontare, spiegare, spesso grossolanamente) arriva invece un compleanno importante e poco celebrato: i cento anni dalla fondazione del partito comunista italiano. Con un titolo lapidario di austerità molto gauche, Il partito (sottotitolo: Una cantata politica) appunto, che nasceva nel 1921 dalla famosa scissione, in un teatro contro un altro teatro. E che da domani, messo in musica da Fausto Amodei, Giovanna Marini porta in palcoscenico con i suoi ensemble della Scuola di musica di Testaccio.Di quei giorni, e momenti e anni,

Camilla Ravera, madre fondatrice del nuovo raggruppamento politico, tenne un diario che è una cronaca preziosa della nascita di un nuovo secolo. Lei, nata nel 1889 e spentasi quasi centenaria nel 1988 (prima senatrice a vita donna nel parlamento repubblicano), fu testimone di prima fila (e pienamente protagonista) di qualcosa che ha inciso e cambiato la nostra storia. Ci sono tutti i nomi che si immaginano in quel racconto: Antonio Gramsci innanzitutto, e Togliatti, ma anche Bordiga «l’estremista» dei consigli, Terracini, Tasca e tanti altri che hanno poi fatto la storia del 900 nel nostro paese, dall’antifascismo duramente pagato, alla Liberazione attraverso la Resistenza, e ancora l’opposizione alla Dc. E tutto nasce da quella scissione a Livorno, che Ravera racconta con autobiografica severità storica e tanta umanità nel cuore.

QUEL TESTO è stato poi messo in musica, nel 1976 da Fausto Amodei , un altro protagonista della narrazione di sinistra, autore di molte canzoni che sono state colonna sonora del ’68. Una per tutte, celeberrima e ancora oggi suonata in qualche pubblica manifestazione politica, Per i morti di Reggio Emilia, dedicata alle vittime della crudele repressione che colpì le manifestazioni nel 1960 contro il neonato governo Tambroni appoggiato dai fascisti in parlamento. La storia di Amodei è di singolare eccellenza nel campo della canzone politica: negli anni Cinquanta era stato tra i fondatori del gruppo Cantacronache, assieme tra gli altri a Michele Straniero, Emilio Jona, Sergio Liberovici (tra i parolieri anche Franco Fortini e Italo Calvino), tutti impegnati nella ricerca musicale, da quella popolare «riaccesa» da Ernesto De Martino a quella di creazione contemporanea (cui perfino la Rai destinava allora fondi e interesse). Le canzoni di Amodei venivano cantate da lui, col suo aspetto perbenino e birichino, ma anche da Enzo Jannacci come da Milva o dai Gufi, o da Maria Monti (allora legata a Gaber) che si vide letteralmente censurare l’uscita di un disco proprio per una canzone scritta da Amodei che difendeva la allora proibitissima obiezione di coscienza. Debitori rispetto a lui (e alla sua passione per George Brassens)si sono riconosciuti Guccini e Fabrizio De André. Insomma è stato un autore importante della nostra musica, di quella popolare e di quella colta, uno dei padri veri della «canzone d’autore».

 

Giovanna Marini, dopo un certo periodo di riflessione sulla proposta di portare in scena e dal vivo Il partito, si è resa conto del lavoro straordinario compiuto da Amodei compositore, e della sua attualità nel riproporlo oggi. «La musica – spiega – non è più solo da canzone, anche se a tratti se ne sentono gli echi nella coralità: trova la sua radice nella grande tradizione italiana.

Ma volendo segnare il distacco, quasi il salto storico che la fondazione del Pci porta nella società italiana, si ispira invece che al grande melodramma nazionale ottocentesco, al precedente patrimonio sei/settecentesco, usandone accordi, contrappunti, concezione drammaturgica, per le voci come per gli strumenti». Insomma la concezione sembra davvero quella di un’opera barocca, a meglio sottolineare gli stadi e le corrispondenze di quella partita con la storia sviluppatasi nel biennio rosso 19/21: gli scioperi operai, che mettono indietro le lancette degli orologi, la serrata padronale, la sconfitta operaia, e quindi la nascita del Partito comunista. Con momenti di particolare concentrazione, come quando a canone si oppongono Le due vie.

A QUEL PUNTO la musicista romana ha voluto coinvolgere non solo le classi che frequentano i suoi corsi di canto alla Scuola popolare di musica di Testaccio, ma anche il coro Inni e canti di lotta diretto da Sandra Alos Monèr, la Piccola orchestra (tutta femminile) diretta da Giulia Accardo, e Antonella Talamonti per la mise en espace. Ma molti altri hanno collaborato fattivamente, come Maria Chiara Calvani che ha disegnato più di cento facce di quei protagonisti della storia italiana (tutti ben riconoscibili) sui fazzoletti che all’inizio dello spettacolo i cantanti tengono alzati davanti al viso. Le prove sono durate mesi e mesi, nell’arco di due anni. Nel finale la discussione si fa dura e aperta nel decisivo brano che fin dal titolo reclama La linea. Ad affrontarsi sono Gramsci (cui da voce il flauto) Bordiga (la tromba) e Tasca (il violino).

SAREBBE curioso, dopo aver visto lo spettacolo di quel Partito e ascoltato il suo canto, fantasticare su quale possibile musica identificare partiti e fazioni di oggi, nel coro di stecche e stonature che la politica (e i suoi mutevoli schieramenti in moto perpetuo) ci offrono. Sarebbe troppo facile punire, o far tacere, l’attuale «disco per l’estate» e le sue intese impossibili.