L’editoriale di Norma Rangeri sul manifesto del’8 dicembre coglie tutti i punti decisivi rispetto alla proclamazione da parte di Cgil e Uil dello sciopero generale di 8 ore per il 16 dicembre. La prima motivazione è la materialità dei bisogni di chi non ha voce non viene minimamente considerata dalle misure del governo. La seconda è l’assoluta non considerazione dei sindacati, informati solo a scelte politiche fatte. La terza è che la luna di miele di Draghi è finita e che la pacificazione del conflitto sociale è la morte della politica. Uno sciopero sacrosanto e cristallino nelle sue motivazioni dunque. Nonostante la denigratoria e stupita grancassa di regime che ne ha accompagnato la proclamazione.

Il tempo dello sciopero è adesso. La manovra di bilancio, presentata alla Commissione europea prima che alla stessa maggioranza di “unità nazionale”, per non dire del Parlamento, era ed è blindata. Una manovra si dice espansiva, ma espansiva non significa di per sé equa, redistributiva, sociale. Questa del “governo dei migliori” non è solo inadeguata ma sbagliata, di continuità con le politiche liberiste e di primato del mercato, ordoliberista come è del resto l’impianto del Pnrr. Regressiva.

Chi parla di “luci e ombre” non ne vuole cogliere il segno classista, l’ulteriore restrizione del perimetro pubblico rispetto agli investimenti , nel Pnrr, sanità (comunque insufficienti) e infrastrutture, piuttosto la gestione data al privato, profit o terzo settore che sia. Con il collegato alla legge di Bilancio che ripropone l’autonomia differenziata, cioè l’amplificazione della disastrosa gestione di 20 diversi servizi sanitari regionali, tragicamente falliti durante la pandemia, e il ddl concorrenza che privatizza i servizi pubblici locali, facendo strame del referendum del 2011 per la ripubblicizzazione dell’acqua.

Non c’è niente sulle pensioni e il futuro previdenziale di quanti sono nel contributivo, con il governo che ha cercato di barattare il ritorno alla Fornero con un tavolo di confronto, mai convocato, e ha imposto quota 102. Niente sulla stabilità del lavoro, mentre la “ripresa” produce solo lavoro precario, penalizzando ancor di più donne, giovani e Mezzogiorno. Niente sulle politiche industriali, su un intervento pubblico che impedisca le delocalizzazioni e imponga vincoli occupazionali alle multinazionali. Sono fumosi gli impegni sugli ammortizzatori sociali universali; e c’è poco o niente sulla non autosufficienza, e sulle richieste dei pensionati per recuperare parzialmente la più che ventennale perdita di potere d’acquisto.

Qualsiasi ulteriore dubbio sul segno di classe del governo è stato fugato dall’accordo di maggioranza sul bonus fiscale di 8 miliardi, che il sindacato chiede di destinare interamente a lavoratori e pensionati, a partire dai redditi più bassi. Invece si vuol fare tutto il contrario.

La misura è colma. Le vertenze sulle piattaforme unitarie non si concludono con la legge finanziaria, ma non sono accettabili né la manovra così com’è, né la distribuzione alla rovescia della riduzione fiscale, pessimo prodromo della futura “riforma”, dalla quale è completamente scomparsa la tassazione delle grandi ricchezze. Dev’essere chiaro a tutto il Paese che le scelte di maggioranza e governo non sono compatibili con il necessario cambiamento, la lotta alla diseguaglianza, la centralità del lavoro. Ce lo chiede la nostra gente: coerenza e determinazione, continuità della mobilitazione, risposte adeguate. Lo sciopero generale non conclude la lotta. Ma è il passo necessario per conquistare il rispetto delle controparti e portare a casa risultati strutturali e di prospettiva, oltre quelli limitati già raggiunti. Il passo che ci riporta in sintonia con la nostra base attiva, e che risponde in positivo alla crisi di fiducia che serpeggia tra le lavoratrici e i lavoratori.

** direttivo nazionale Cgil