Per affrontare un discorso sulla legge Zan bisognerebbe partire da almeno due punti.

Il primo è il dato di realtà sulla violenza che la popolazione Lgbti subisce quotidianamente. Non si tratta solo di violenza fisica: botte, percosse, pestaggi, fino all’omicidio, ma anche violenza psicologica, mobbing, bullismo, cyberbullismo, difficoltà ad accesso al lavoro, violenza medica.

Ogni lettera della sigla è una soggettività, e ogni soggettività ha la sua storia, anche politica, le proprie modalità relazionali e specifiche discriminazioni.

Molto pragmaticamente: la violenza che subisce una donna lesbica è diversa da quella che subisce un uomo gay che è diversa da quella che subisce una donna bisex che è diversa da quella che subisce un uomo bisex.

Ci sono una discriminazione legata all’orientamento e una legata al genere e all’identità di genere, e spesso si sommano.

È importante nominare la lesbofobia perché è anche misogina. È importante nominare la bifobia perché le persone bisex vengono costantemente cancellate dal discorso pubblico.

È importante nominare la transfobia non solo in quanto legata ad una transizione di genere in sé ma anche legata al genere. La violenza che subisce una donna trans è legata sia al fatto di essere trans sia al fatto di essere una donna (al quale si può aggiungere una ulteriore discriminazione per il suo orientamento).

Omolesbobitransfobia può non essere una parola attraente e smart ma è esattamente quello di cui stiamo parlando. È quello che ci serve per nominare e a riconoscere le varie forme di violenza e discriminazione.

È una parola-sommario di tutte le discriminazioni e nessuna delle sue componenti può essere in nessun modo dimenticata o tralasciata in nome di una supposta difficoltà di comprensione o della sintesi giornalistica.

Il secondo punto è che una legge come questa serve in primo luogo al riconoscimento sul piano giuridico e sociale dell’esistenza della discriminazione e della violenza omolesbobitransfobica, anche in quanto violenza di genere, e in secondo luogo disciplinarne le sanzioni verso chi la agisce.

La contestazione del concetto di identità di genere da parte di alcune femministe risulta fuori luogo rispetto all’obiettivo politico della legge: un ulteriore riconoscimento giuridico delle esigenze della popolazione Lgbti, dopo le Unioni Civili.

Per rimanere sul piano giuridico già la sentenza della Corte di Cassazione n. 15138/2015 permettendo alle persone trans il cambio anagrafico senza rettifica chirurgica dei genitali aveva di fatto iniziato un percorso culturale e giuridico di disgiunzione dell’identità di genere dal sesso anatomico.

Detto ciò, l’approccio unicamente punitivo è efficace solo come un parziale deterrente.

Sempre molto pragmaticamente: una persona omofoba che agisce una discriminazione e viene sanzionata per questo continua a rimanere omofoba. Serve un’azione incisiva sul piano della formazione, negli ospedali, negli uffici e soprattutto nelle scuole.

* scrittrice, editrice, attivista trans e femminista