L’Egitto sta occultando i casi di Covid-19, la malattia provocata dal nuovo coronavirus? Il terzo paese più popoloso dell’Africa, con i suoi 100 milioni di abitanti, fino a ieri aveva dichiarato solo tre casi accertati. Poi le autorità hanno confermato 12 nuovi contagi, ma diversi elementi fanno dubitare della versione ufficiale delle autorità egiziane.

A far scattare i sospetti su un possibile insabbiamento del contagio sono stati i casi di almeno nove stranieri risultati positivi al virus dopo un periodo trascorso in Egitto per turismo o lavoro. Come si può escludere, si chiedevano in molti, che queste persone non abbiano trasmesso il virus agli autoctoni durante la loro permanenza, o che non lo abbiano contratto proprio in Egitto?

Lo scorso 14 febbraio l’Egitto è stato il primo paese del continente africano a dichiarare la presenza di un caso di Covid-19. Si trattava di un cittadino cinese, scoperto non dalle autorità egiziane ma dall’ambasciata del suo stesso paese, che è già stato dichiarato guarito.

Per settimane le autorità hanno sminuito il problema e smentito nuovi contagi. L’Egitto è «libero da coronavirus» e il governo «non sta nascondendo le novità» sul contagio, aveva detto il primo ministro Mostafa Madbouly, rispondendo alle voci che lo accusavano di aver sottostimato la diffusione dell’infezione. Poi ieri la conferma ufficiale: 12 nuovi casi, stavolta tutti egiziani, impiegati su una nave da crociera.

L’origine delle infezioni sarebbe uno dei turisti risultati positivi al ritorno in patria. Ma per due settimane il ministero della salute aveva negato che ci fossero contagi tra le persone entrate in contatto con gli stranieri affetti da coronavirus.

L’Egitto è stato subito indicato come uno dei paesi più esposti. Secondo un modello statistico elaborato sulla base dei traffici aerei pubblicato il 20 febbraio sulla rivista The Lancet, è il paese africano con il rischio maggiore di importare il virus, seguito da Algeria, Sudafrica ed Etiopia.

Date queste condizioni, «a livello statistico è praticamente impossibile che non ci siano ancora egiziani contagiati», scriveva pochi giorni fa Inan Dogan, studioso di finanza. Il rischio, avverte l’economista, è che l’Egitto possa diventare «un altro Iran in termini di infezioni da coronavirus», nascondendo i casi e favorendone la diffusione, come accaduto in una prima fase nella Repubblica islamica.

Sin dall’inizio il Cairo ha gestito la questione in modo tutt’altro che trasparente. Già dai primi di febbraio il sito Mada Masr denunciava che decine di medici e infermieri erano stati inviati, in cambio di una lauta remunerazione, in una missione non specificata a Marsa Matrouh, sulla costa mediterranea.

Solo sul posto il personale sanitario ha scoperto che si trattava di una struttura di quarantena destinata agli egiziani rimpatriati dalla Cina, ma nessuno era stato istruito sulle procedure necessarie a identificare e trattare gli eventuali casi di infezione.

L’assenza di contagi accertati si spiega soprattutto con la mancanza di mezzi e laboratori attrezzati. Il paese «non ha la capacità di individuare nuovi casi», ha dichiarato a Middle East Eye Mostafa Gawish, esperto di politiche sanitarie.

«Non abbiamo strumenti diagnostici per analizzare i campioni di tutti i pazienti che mostrano sintomi», ha dichiarato un medico dell’ospedale per malattie polmonari del Cairo in una intervista a Egypt Watch, piattaforma di opposizione con sede a Londra. «Perciò tutti i pazienti che muoiono per coronavirus verranno diagnosticati come polmoniti», ha aggiunto.

Secondo diverse testimonianze dirette raccolte da Egypt Watch, il regime mente sul numero dei casi. Sarebbero almeno altri 20 i contagi accertati ma tenuti nascosti, in gran parte ricoverati in ospedali militari non soggetti alla supervisione del ministero della sanità.

Inoltre ai media sarebbe stato espressamente chiesto di «non esagerare» l’allarme, limitandosi a riportare i comunicati ufficiali del governo. La polizia ha già arrestato due persone accusate di aver diffuso false notizie sulla diffusione del virus.

Intanto il Qatar ha deciso di impedire l’ingresso a chi proviene dall’Egitto, esprimendo dubbi sulle cifre dichiarate dal Cairo, mentre il Kuwait ha imposto restrizioni sugli ingressi di egiziani. L’atteggiamento del governo sembra mirato a limitare l’impatto economico che avrebbe la notizia di un focolaio, soprattutto sul turismo.

Ma se in assenza di misure adeguate l’epidemia dovesse diffondersi, il sistema sanitario egiziano, già penalizzato da carenze di fondi e personale, rischia di collassare sotto il peso di una vera e propria crisi sanitaria.