Come non succedeva dai tempi del tramonto delle dittature militari, quasi tutto l’arco politico argentino si è unito nella condanna del fallito attacco alla vicepresidente Cristina Fernandez de Kirchner. Ma è la “politica dell’odio” a farla da padrone nel paese.

IN MIGLIAIA IN PIAZZA IERI a Buenos Aires dopo il tentativo di omicidio avvenuto nella notte di giovedì, e da cui è uscita illesa per miracolo. A premere il grilletto della pistola puntata alla testa della leader della sinistra peronista è stato un 35enne brasiliano residente però nel paese dal ’93, Fernando Sabag Montiel, vicino a gruppi neo-fascisti. Nonostante le cinque pallottole nel caricatore, il colpo non è partito, e l’attentatore è stato catturato dalla scorta della vicepresidente. Nel suo appartamento sono stati trovati un centinaio di proiettili, e le prime perizie psichiatriche lo hanno dichiarato capace di dichiarare di fronte ai giudici. Gli inquirenti sono al lavoro per determinare il movente dell’attentato, se esistono complici e come sia stato possibile un errore simile nella sicurezza presidenziale.

L’attacco è avvenuto sulla porta dell’edificio in cui vive la Kirchner, dove centinaia di simpatizzanti si danno appuntamento ogni giorno dall’inizio del processo che la vede tra i principali accusati di frode e corruzione in seguito all’aggiudicazione di appalti pubblici nella provincia di Santa Cruz durante i suoi due mandati presidenziali (2007-2015).

IL PM HA CHIESTO 12 ANNI di reclusione per la dirigente politica più popolare del paese, e nel pieno di una crisi economica e politica senza precedenti l’intero governo ha fatto cerchio intorno a lei.
Tutti i presidenti della regione hanno espresso la loro solidarietà, e anche papa Francesco ha inviato un telegramma alla vicepresidente. Nella notte di giovedì un fronte bipartisan di parlamentari ha lanciato un appello contro la violenza politica e per la difesa della democrazia. Ma a Buenos Aires aleggia la sensazione che qualcosa si sia rotto definitivamente, quel tacito consenso forgiato negli anni successivi all’ultima dittatura militare in cui tutte le parti politiche si impegnavano a rifiutare l’uso della violenza in Argentina.

L’attentato contro una delle cariche più importanti della repubblica segna il superamento di questo limite: a differenza di altri paesi latinoamericani, in Argentina i dirigenti politici non temono per la propria vita quando si muovono in pubblico, e sebbene le istituzioni non godano certo del sostegno popolare, non si era mai arrivati a una situazione simile. Nel 2015, il suicidio del procuratore speciale Alberto Nisman, che aveva accusato Kirchner di voler insabbiare le indagini sull’attentato contro la Mutuale Israelita di Buenos Aires nel 1994, aveva già steso un manto di sospetti che l’attacco di giovedì ha riacceso.

I DISCORSI DI ODIO sono ormai quotidiani nel paese: le ultime manifestazioni dell’opposizione di destra hanno portato in piazza ghigliottine, manichini della vicepresidente impiccata e sacchi mortuari coi nomi dei principali dirigenti del governo appesi alle inferriate della Casa Rosada. «O noi o loro», aveva dichiarato un ex ministro e leader dell’opposizione, mentre un deputato chiedeva la pena di morte contro Kirchner invece dei 12 anni per corruzione.

Il presidente Alberto Fernandez dal canto suo ha fatto poco per contenere la situazione, e di recente ha addirittura dichiarato che spera che il pm incaricato delle indagini contro la vicepresidente «non decida di suicidarsi». E dopo la condanna all’unisono lanciata nei minuti successivi all’attacco, dall’opposizione sono partite di nuovo le accuse contro il presidente di voler strumentalizzare l’accaduto. E c’è anche chi dice che sia tutta una messa in scena per preparar la campagna elettorale del 2023.

NELLA MAGGIOR PARTE dei media mainstream e sui social fioccano le espressioni classiste e razziste contro il peronismo che Cristina Kirchner, di fatto, comanda, presentato come l’origine di tutti i mali del paese. «Purtroppo non ha fatto pratica prima», ha commentato uno degli amici di Montiel in diretta tv ieri mattina.

Ed è proprio contro questo clima che sono state lanciate le manifestazioni di ieri, mentre i sindacati preparano uno sciopero generale per lunedì.