Zyad Benna e Bouna Traoré avevano quindici e diciassette anni quando sono morti fulminati saltando sui fili della centrale elettrica di Clichy sous Bois, cité al nord di Parigi. Scappavano dai poliziotti che gli correvano dietro senza ragione come spesso accade lì – i due ragazzi tornavano da una partita. Ci fu poi un processo per stabilire le responsabilità di quanto era accaduto – a cominciare da quelle degli agenti – ma prima ancora quel 27 ottobre del 2005 esplose una rivolta che da Clichy si estese alle altre banlieues francesi: scontri, negozi e automobili incendiati, la polizia spara pallottole e flash ball. La gente ha paura, molti sono sfiniti, qualcuno fa la guardia alla propria macchina, altri raccolgono i vetri infranti: l’assicurazione non paga dicono davanti alla merce bruciata – e loro hanno perso tutto. Condannano eppure: cosa significa abitare in quel posto, nelle periferie, se sei figlio dell’immigrazione, se sei povero, con i poliziotti che fermano di continuo, arrestano, controllano. Quali reazioni provoca, che sentimenti di frustrazione, di insofferenza?

SARKOZY, allora ministro dell’interno, e con lui il governo Villepin, non si interroga sulla politica e come sola risposta dà quella della repressione. Per ristabilire «l’ordine repubblicano» contro «mafie e terroristi» decreta lo stato d’urgenza e il coprifuoco: perquisizioni, arresti, violenza. E mentre qualche ragazzo sfida i Crs nelle strade deserte la notte, altri si organizzano, condannano chi brucia le macchine – «appartengono a gente che conoscete» – cercano una mediazione. Insieme, perché come dice una giovane donna mentre va coi figli a dormire altrove, questa è la nostra società e abbiamo tutti gli stessi diritti. A ritornare su questa storia recente della Francia – da cui molto si può capire di quel groviglio di conflitti e solchi sociali agglomerati oggi intorno alla «questione identitaria» – è Virgil Venier, autore di un cinema molto indipendente che sfugge alle definizioni di genere – tra i suoi film, Mercuriales (20014); Sophia Antipolis (2018- per muoversi in un paesaggio contemporaneo, nei sistemi che lo governano, tra i miti che hanno perduto la loro aura.

COSÌ QUESTO Kindertotenlieder che come racconta Venier in una intervista a «Le Monde» – nasce dalla proposta di un progetto di film su Clichy (ne aveva fatto uno Straub, Europa 2005). I materiali su cui lavora sono quelli dei servizi di Tf1 dal 27 ottobre fino a novembre, un «archivio» di immagini che «decontestualizzate» costruiscono un punto di vista molto diverso da quello per cui sono state realizzate. «Tf1 per me è l’esempio di cosa significa fare disinformazione in modo ideologico. Riportare queste immagini al cinema permetteva di dare alle persone dignità».

SI PUÒ DIRE che Kindertotenlieder è un film del dispositivo che cerca di illuminare il nostro tempo, e le immagini che vediamo non appaiono mai come del «passato», anzi se non ci fosse il cartello iniziale che le spiega potremmo dire di essere oggi. Anche per questo, appunto, l’effetto che producono capovolge l’obiettivo dei vari servizi, cioè criminalizzare la periferia esaltando l’azione dello Stato. Siamo nel 2005 ma se Sarkozy ai microfoni fa pensare a Macron non è un caso: quei ragazzi giovanissimi che dicono come la polizia si ostina con esagerazione, della fatica a vivere in quei palazzoni grigi,del fatto che loro per lo stato sono «tutti delinquenti» – come li definisce Sarkozy – continuano a esserci oggi, così come la risposta violenta contro le proteste – la vicenda dei Gilets Jaunes è emblematica – e il rifiuto di un confronto con una società che muta, che sfugge, che non può essere solo questione di «identità» (noi&loro).

Kindertotenlieder è uno dei titoli nel concorso francese di Cinéma du Reel, il festival del documentario di Parigi, in corso questi giorni (fino al 21), uno degli appuntamenti di riferimento per i documentaristi di tutto il mondo e per il pubblico francese che affolla le proiezioni al Centre Pompidou. Quest’anno però il festival si svolge in streaming visto che in Francia ancora tutto è fermo per il virus (ieri sembra che siano state individuate nuove varianti), sale, teatri, musei sono chiusi dallo scorso novembre. Per Cinéma du Reel è la seconda volta, lo scorso anno infatti il governo francese aveva dichiarato il lockdown il giorno dopo l’apertura.

STAVOLTA però la direttrice, Catherine Bizern, con il suo gruppo di lavoro ha progettato l’edizione sin dall’inizio anche in questa modalità, con lo spazio «virtuale» di un canale dedicato, Canal réel, su cui film, discussioni, incontri vengono proposti (geolocalizzati) seguendo un calendario festivaliero. Una scommessa che cerca di contrastare l’orizzontalità della visione per dare al pubblico a casa l’idea di essere parte di un evento.
Oltre ai concorsi, internazionale e francese, la retrospettiva di Pierre Creton e le proiezioni speciali tra cui Ziyara di Simone Bitton (premio Filmmaker 2020) e Il Nuovo Vangelo di Milo Rau.