Non sempre la divisione fra vittime e carnefici è lampante, e il ruolo della giustizia diventa difficile e delicato. In Ucraina, man mano che l’esercito di Kiev è riuscito a liberare territori sotto occupazione russa, questo problema si è fatto sentire con la questione del “collaborazionismo”: come valutare l’operato di chi, a vario grado, ha avuto contatti, ha appoggiato o ha aiutato l’aggressione di Putin? Che tipo di misure risultano lecite e quali altre, invece, rischiano di costituire una mera rappresaglia sulla popolazione civile?

AL MOMENTO le autorità ucraine hanno aperto oltre 6mila indagini per collaborazionismo con 1.700 casi che si sono risolti in accuse giudiziarie di cui 1.000 già arrivate a processo, anche se più o meno la metà di questi vengono condotti in absentia (si tratta dei dati ufficiali, ma è lecito presumere che alcuni casi rimangano fuori delle statistiche per ragioni di sicurezza). Già a pochissimi giorni dall’inizio dell’invasione, il 3 marzo 2022, mentre i russi prendevano controllo della città di Kherson, il parlamento ucraino approvava due nuove leggi per punire «ogni tipo di cooperazione con lo stato aggressore»: una serie di disposizioni che prevedono, a seconda dei reati, fino a quindici anni di carcere, multe, interdizione dai pubblici uffici e confisca dei beni.
I servizi ucraini hanno lavorato a pieno regime fin da subito, raccogliendo informazioni anche attraverso i social media e ovviamente monitorando i politici locali che accettavano di assumere un ruolo nelle nuove amministrazioni messe in piedi dagli occupanti. Ma non tutti gli accusati avevano necessariamente una posizione di preminenza pubblica: è il caso, per esempio, di un 34enne di Kramatorsk (regione del Donbass) che è stato investigato già alla fine di marzo dalla procura per il fatto di aver postato un video su TikTok in cui invitava ad appoggiare le forze russe.

IN PIÙ, LA LEGGE ha fatto discutere per il fatto di non essere considerata unanimemente chiara e precisa. A novembre, infatti, un insieme di Ong impegnate nella difesa dei diritti umani (tra cui Zmina, Donbas Sos e Vostok Sos) aveva analizzato i casi giudiziari aperti per collaborazionismo e stilato un report in cui si denunciava l’«assenza di criteri per qualificare gli atti» che sarebbero dovuti ricadere sotto l’ombrello della legge introdotta con l’inizio dell’invasione e la «mancanza di proporzionalità delle pene» previste. In più, le Ong hanno fatto richiesta ufficiale di modifica del testo in alcune delle sue parti e si stanno spendendo affinché si sviluppi un dibattito pubblico sulla questione (lunedì si è tenuta a Kiev una conferenza di aggiornamento sul loro lavoro di monitoraggio). «Quello che si sta creando è davvero un fenomeno di massa, che riguarda tutti», racconta al manifesto Aleksei Arunian, giornalista giudiziario che per la testata indipendente Graty sta seguendo e raccontando i processi (in particolare nella regione di Donetsk). «È importante capire che, in sintesi, ci sono diverse categorie di persone che vengono accusate di collaborazionismo: chi ha appoggiato apertamente e convintamente le forze d’occupazione, spesso a livello politico; chi è rimasto nel proprio villaggio o nella propria città e ha cooperato con i russi semplicemente perché apolitico o perché non aveva piena consapevolezza di quanto stava accadendo; chi infine svolgeva un’attività per garantire servizi vitali all’intera popolazione». Arunian ha portato alla luce alcuni esempi del genere, come quello di Valentyna Tkach e Tetiana Potapenko: due residenti della cittadina di Lyman (Donbass) che durante i cinque mesi di occupazione hanno provveduto all’assistenza delle persone anziane, garantito cibo e materiale per riscaldarsi a chi viveva nell’area e perfino seppellito dei cadaveri. Entrambe sono state prese in custodia e accusate di collaborazionismo, la seconda di recente condannata a cinque anni di carcere. «Sembra che io sia colpevole solo di essere sopravvissuta», ha dichiarato.

NON SI TRATTA solo di una questione giuridica ma politica, e riguarda il modo in cui le autorità ucraine intendono reintegrare i territori attualmente in mano russa. «Dai commenti ai nostri articoli mi sembra che la società sia divisa», spiega Arunian. «Alcuni pensano che non ci sia nessuna giustificazione per chi coopera con gli occupanti, altri ringraziano perché ci interessiamo al tema con uno sguardo critico e capiscono che è sbagliato mettere in campo metodi poco umani. Io credo che sia fondamentale giudicare caso per caso, nel rispetto dei fatti e indagando con onestà le motivazioni che spingono a compiere certe scelte». I segnali positivi in questo senso non mancano, dalle già citate Ong fino al Commissario parlamentare per i diritti umani Dmytro Lubinets che in alcune sue dichiarazioni ha riconosciuto il problema. Le sorti del conflitto passano anche da qui.