«L’Ucraina è a tre passi dall’adesione all’Ue» secondo il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba. Ma, nonostante ieri si siano aperti i negoziati per l’ingresso di Ucraina e Moldavia nell’Unione europea, il percorso dei due paesi non è scontato. Ciò che è certo è che i vertici attuali dell’Ue hanno insistito affinché questo passaggio fosse il più possibile caratterizzato politicamente. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è congratulata con i due Paesi su Twitter sottolineando che il cammino «sarà impegnativo ma ricco di opportunità». Più esplicita la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che ha parlato di «giornata storica». La delegazione ucraina ha esultato definendo l’inizio dei negoziati un «sogno che si trasforma in realtà». I passaggi successivi saranno la conferma del buon esito dei negoziati, poi si dovrà certificare che i candidati soddisfano i criteri per l’adesione e firmare l’accordo. Infine i parlamenti degli stati membri dovranno ratificare l’accordo.

PER ORA IL VERO successo di Kiev (e della Moldavia, ma l’adesione di Chisinau è per molti versi figlia dell’aggressione russa al territorio ucraino) è stato quello di passare in poco più di due anni da una condizione di estraneità a quella di candidato ufficiale. La rapidità dei vari passaggi dipenderà ora da quanto l’Ucraina riuscirà a soddisfare le richieste di Bruxelles. La particolare condizione di plenipotenziario del presidente ucraino, che guida il Paese ad libitum grazie alla legge marziale ed è dotato di poteri straordinari, faciliterà il compito. Ma il rovescio della medaglia è che la libertà di espressione e di opposizione in Ucraina al momento sono fortemente limitate e ciò potrebbe essere uno dei principali problemi per l’adesione. Intanto l’Ue ha annunciato ieri che il Fondo di Assistenza per l’Ucraina «continuerà a sostenere la fornitura di equipaggiamento militare letale e non letale e addestramento» per un valore di 5 miliardi per il 2024 ed, eventualmente, altrettanti fino al 2027.

INTANTO, in patria, Zelensky ieri ha deciso di destituire il capo delle forze congiunte delle Forze armate ucraine, Yuri Sodol, dopo che il militare era stato accusato dal capo della brigata Azov, Bogdan Krotevich, di «aver ucciso più soldati ucraini di qualsiasi generale russo». Al suo posto è stato nominato Andri Gnatov.
Dalla Corte penale internazionale dell’Aja, intanto, è arrivata una nuova condanna per i vertici russi. La sezione istruttoria presieduta dal giudice italiano Rosario Salvatore Aitala, primo vice presidente della Corte, ha emesso due mandati di cattura per l’ex ministro della difesa Sergei Shoigu e il vice ministro e capo di Stato maggiore Valery Gerasimov per crimini di guerra e contro l’umanità, commessi in Ucraina tra il 10 ottobre 2022 e «almeno il 9 marzo 2023». Il Cremino ha parlato di «guerra ibrida dell’Occidente» e ha annunciato l’esclusione di 81 media europei, tra cui gli italiani Rai, La7, La Repubblica e La Stampa, in risposta alle sanzioni alle agenzie russe.