Domenica il segretario del consiglio di sicurezza nazionale di difesa dell’Ucraina, Oleksiy Danilov, ha dichiarato: «L’apertura di ulteriori fronti nella sfera di interessi della Russia nei territori di altri Paesi aiuterebbe molto l’Ucraina a rispondere all’attacco russo». Il riferimento più evidente è all’Armenia e alle tensioni che sono riesplose nel territorio conteso del Nagorno-Karabakh.

LA «DOTTRINA DANILOV» auspicherebbe che l’Azerbaijan riprendesse la propria offensiva verso le regioni di lingua e cultura armene dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, oggi presidiata da un contingente di pace russo, in nome dell’odio contro Putin.

O, forse, secondo l’antico principio che vuole che gli amici dei miei nemici siano miei nemici. Tra il 27 settembre e il 9 novembre del 2020 si è combattuta in Nagorno-Karabakh una guerra sanguinosa che è costata la vita a più di settemila soldati, oltre a creare quasi centomila nuovi profughi.

L’Azerbaijan, spalleggiato a livello operativo e strategico dalla Turchia di Erdogan, ha attaccato senza preavviso la Repubblica dell’Artsakh, ovvero la parte di Nagorno-Karabakh controllata dagli armeni dal 1994 ma mai riconosciuta ufficialmente da nessun Paese, nemmeno da Yerevan.

Quel conflitto è passato alla storia per essere il primo in cui sono stati impiegati sistematicamente i droni per attaccare le postazioni di fanteria. Tali velivoli erano per lo più di produzione turca, i famosi Bayraktar Tb2 che ora tutti conosciamo per le gravi perdite che stanno infliggendo all’esercito russo.

Dopo la cattura della roccaforte di Shushi la bandiera turca e quella azera erano state issate ai piedi della collina che domina la capitale dell’Artsakh, Stepanakert. Infine, tra le condizioni del cessate il fuoco, le due parti si erano accordate per la mediazione russa e per la presenza di un contingente di pace di Mosca a garantire i nuovi confini.

Da giovedì scorso gli azeri sono tornati all’attacco occupando il villaggio di Parukh. A fine giornata il bilancio armeno era di due soldati morti e dodici feriti. Il giorno dopo le autorità dell’Artsakh hanno annunciato l’adozione della legge marziale.

Quasi in contemporanea, il ministero della difesa russo ha dichiarato che le forze armate azere sono entrate nella zona di controllo del suo contingente di pace, aggiungendo che Baku ha effettuato quattro attacchi aerei per mezzo dei droni.

IL GIOCO È FIN TROPPO evidente: ora che tutto il mondo guarda all’Ucraina e considera la Russia come il demonio, il governo azero ha deciso di provare a chiudere una questione aperta da trent’anni e, per farlo, sta usando le armi che gli ha fornito principalmente Erdogan.

Il quale, dopo un periodo di crisi profonda, come un provetto equilibrista sta tentando di ritagliarsi il ruolo del paciere e dell’amico di tutti. E, quindi, con una mano rifornisce di droni il governo ucraino e con l’altra accoglie gli oligarchi russi esuli dai paesi occidentali e si rifiuta di sottoscrivere le sanzioni internazionali a Mosca.

Viene spontaneo da chiedersi se sarà l’Armenia la prima vittima dei nuovi equilibri mondiali. Del resto, dopo la cosiddetta «Rivoluzione di velluto» del 2018, l’Armenia aveva scelto di allontanarsi dalla Russia, sostituendo al governo filo-russo uno guidato da un ex giornalista che era diventato il portavoce delle proteste.

Si era tentato di far rientrare in patria una parte dei milioni di armeni sparsi per il mondo fin dal genocidio del 1915, di iniziare un percorso di riforme e tentare di combattere la corruzione.

Il paese aveva ricevuto diverse promesse dall’Occidente, inclusi incoraggiamenti a «proseguire sulla via della democrazia». Tuttavia, il sogno è durato poco. Quando due anni dopo l’Armenia è stata attaccata nessuno è intervenuto, anzi, quasi nessuno ne ha parlato.

NON SAPENDO a chi affidarsi, perché a nessuno è interessato aiutarli, gli armeni si sono affidati ai russi. Com’è evidente ci sono molte somiglianze tra la storia recente armena e quella dell’Ucraina, solo che nel caso degli armeni l’opinione pubblica mondiale non si è commossa per i bambini sfollati, per i villaggi distrutti o per le famiglie spezzate.

In più, in quanto alleata della Russia, oggi l’Armenia rischia di cadere nel gorgo delle semplificazioni e di affrontare una nuova guerra nel silenzio generale degli stessi paesi che gli avevano promesso libertà e perline colorate.