Cultura

Kader Abdolah, la gioiosa mescolanza delle lingue

Kader Abdolah, la gioiosa mescolanza delle lingue

SALONE DEL LIBRO DI TORINO Un’intervista con lo scrittore iraniano che domenica sarà ospite in Italia per presentare il suo ultimo volume, in libreria da oggi, edito per Iperborea

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 9 maggio 2018

«Da quando ho cominciato a scrivere questa storia non riesco più a distinguere il vero dal falso. Spesso invento cose, ma con mio grande stupore si rivelano più credibili della realtà. È per via della mia fuga: chi non può più tornare a casa finisce per vivere in uno stato di immaginazione».
Potrebbe essere questa la descrizione sintetica della letteratura di Kader Abdolah, scrittore iraniano perseguitato dallo scià e da Khomeini ed esule in Olanda dal 1988. Al secolo Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, ha scelto come pseudonimo la fusione di due nomi – Kader e Abdolah – che furono di due esponenti dell’opposizione assassinati dagli ayatollah. Con questo pseudonimo ha scritto i primi racconti in persiano. In Olanda ha imparato la lingua e nel ‘93 il debutto con la raccolta di novelle De adelaars (Le aquile), una panoramica dolorosa sulla condizione degli esuli.

In Italia, dove sarà ospite in occasione del Salone del Libro di Torino il 13 maggio alle 14.30 in Sala Blu con Alessandra Tedesco, i suoi libri sono editi da Iperborea, casa editrice con cui ha pubblicato, tra gli altri, il celebre La casa della Moschea (2006) e Un Pappagallo volò sull’Ijssel (2011). Sempre con Iperborea, da oggi è in libreria la sua ultima opera: Uno scià alla corte d’Europa (pp.448, euro 19,50), un metaromanzo dalla duplice narrazione: quella di uno studioso orientalista esule all’estero che ritrova l’antico diario di viaggio in Europa dello scià e quella dell’esplorazione del sovrano in terra europea. Il romanzo ripercorre le tappe di questa spedizione ma anche le fasi di scrittura della storia attraverso il racconto di due epoche e di due culture.

L’incipit del suo ultimo libro sembra parlare di lei e della sua letteratura. Molti scrittori sono ospiti di un paese straniero e scrivono nella lingua dell’ospite. Ma la sua narrativa ha qualcosa di diverso: unisce l’elemento onirico, tipico della tradizione favolistica nordeuropea, alla densità del racconto mediterraneo. È per questo che i critici olandesi hanno giudicato i suoi libri come i migliori testi scritti nella loro lingua?
Le confesserò un segreto: ho messo nella letteratura olandese alcuni ingredienti dei miei antenati: suoni, forme e sapori della terra da cui provengo. In Olanda, per esempio, non abbiamo montagne, ma sono riuscito a parlare ugualmente di una montagna che c’è nel mio paese, la più alta (5678 metri, ndr). Ho parlato di tappeti volanti, di donne persiane bellissime. Ma l’ho fatto inserendo questi elementi nella tradizione letteraria olandese. Ecco perché ha quell’aspetto di cui parlava lei. Tutti questi elementi la rendono poetica, ricca e bella. Ma il merito non è mio: è della mescolanza di culture.

Il suo esordio letterario in Olanda fu con «Le Aquile», in cui parlava della condizione dell’esiliato. Cosa vuol dire vivere da esule?
Il significato letterale di esilio è vivere lontani dal proprio paese. Ma io non mi sento in esilio: si può dire che la mia vita sia iniziata qui. Vivo allo stesso tempo immerso in molte culture e lingue meravigliose. Nella mia testa c’è la vecchia cultura persiana, con la sua società velata, e la giovane cultura olandese con una società «mezza nuda». Tutto ciò fa di me uno scrittore nuovo. Se questo è l’esilio, lo adoro.

Per lei l’olandese è la lingua della libertà. Ma scrive ancora qualcosa nella sua lingua natale?
Quando scrivo in olandese non ho limiti di natura culturale, religiosa, politica o linguistica. La mia penna trasforma la mia immaginazione in realtà. Purtroppo, in questo momento, non posso scrivere la mia letteratura in persiano. Potrei comporre migliaia di pagine ma in quelle pagine non potrei mettere la mia anima. Sarebbe come una bottiglia vuota.

Anche in quest’ultimo romanzo, come in altri, mescola elementi di Oriente e di Occidente. Il suo è un auspicio di integrazione trasversale, di compenetrazione tra i due mondi?
Solitamente quando scrivo un libro come questo, cerco di non pensare alla dicotomia tra Est e Ovest. Poi, quando lo finisco, riesco a vedere tra le sue pagine entrambi. E sono presenti nei miei libri così come lo sono nella mia mente e nel mio corpo: due risvolti della mia vita. Li vedo come una meravigliosa esperienza. Quanto all’integrazione trasversale, sono convinto che i tempi stiano cambiando. Non dirò che l’Occidente e l’Oriente si avvicineranno contemporaneamente e reciprocamente, si muovono a velocità diverse. Ma non si può ignorare che, per la prima volta nella storia, milioni di orientali stanno arrivando in Italia, nei Paesi Bassi e altrove in Europa.
Queste persone portano con sé la loro cultura, il loro modo di pensare e il loro modo di vivere. Tra 20, 30, 40 anni saranno insegnanti, sindaci e siederanno in parlamento. Tra 100 anni uno di loro potrà essere eletto presidente. È questo il cambiamento. Forse a qualcuno non piace, ma a me sì.

Cosa rischia l’Iran con l’annullamento dell’accordo sul nucleare voluto da Trump?
Non mi piace il regime del clero in Iran, né gli ayatollah. Ma non mi piace neanche la strada intrapresa da Trump. È una soluzione dittatoriale, esattamente come quella degli ayatollah. Le vittime dell’annullamento dell’accordo sono i 70 milioni di iraniani. Questo significherà più violenza, disoccupazione e oppressione per le donne.

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