Antonia Scott pensa al suicidio ogni giorno, per non più di tre minuti: ritiene che solo questo le consenta di non uscire del tutto di senno. Non capisce l’eventuale nota di sarcasmo dei propri interlocutori e tende a recepire ogni frase o parola in modo più che letterale. E conta, mette in fila e elenca mentalmente ogni cosa: in auto si concentra sul numero di giri che una ruota compie lungo il tragitto, poco importa quanti chilometri debba percorrere. Eppure nessuno come lei è in grado di comprendere cosa sia realmente accaduto e cosa muova un assassino, soltanto guardandosi intorno o sedendosi per terra in una «scena del crimine». Jon Gutiérrez è un omone, grandi spalle e braccia forti ma un cuore da adolescente pronto a mettere tutto in discussione per riparare a un torto. Nei guai, l’ispettore della polizia di Bilbao ci finisce non tanto perché non nasconda la propria omosessualità, in un ambiente dove le nostalgie franchiste non mancano di certo, ma perché costruisce delle prove finte per incastrare un pappone che massacra di botte le sue ragazze. Quando, dopo essere stato scoperto, pensa di aver perso tutto, a cominciare dai manicaretti che gli prepara l’anziana madre con cui vive, arriverà un incarico davvero speciale: convincere Antonia a rimettersi in pista, dopo che un suo errore anni addietro era quasi costato la vita all’uomo che ama, e a indagare insieme a lui su una serie di delitti raccapriccianti che lambiscono gli ambienti del potere e sembrano rimandare sia ad una pista internazionale che a quella non certo più tranquillizzante di un serial killer locale.+

Protagonisti di Regina Rossa (Fazi, pp. 428, euro 18, traduzione di Elisa Tramontin) Antonia e Jon sono al centro della trilogia, di cui il romanzo costituisce il primo capitolo, che ha reso il 44enne scrittore madrileno Juan Gómez-Jurado tra gli autori del poliziesco spagnolo più apprezzati – oltre un milione di copie vendute – e tradotti del momento.
Oggi a Roma, nella giornata conclusiva del festival «Più libri, più liberi» Gómez-Jurado presenta i suoi personaggi alla Sala Luna della Nuvola alle ore 12,30 accanto a Mariolina Venezia e Laura Pezzino.

Juan Gómez-Jurado

Fin dalle prime pagine di «Regina rossa», con Antonia e Jon che mostrano le proprie nevrosi e idiosincrasie, si ha la sensazione di avere a che fare con dei personaggi fuori del comune. Come è nata questa coppia bizzarra?
Sono due figure che avevo in mente da tempo, che ho cominciato ad immaginare perlomeno dal 2008. Poi però li ho plasmati pian piano ispirandomi alle persone che avevo intorno o che avevo anche solo incontrato qualche volta. Antonia è la somma di tante donne che ho conosciuto, incredibilmente intelligenti, preziose, ma che spesso sono state costrette a nascondere le proprie capacità perché il mondo in cui viviamo è quello che è. E la loro forza può mettere paura a chi le circonda. L’intelligenza di qualcuno tende a provocare un misto di fascino e rifiuto negli altri, e avevo questo in mente quando ho scritto la prima volta di Antonia. Quanto a Jon, è molto facile spiegare da dove viene: sono io. È un tipo affettuoso, dolce e che si sente di valere così poco di fronte ad Antonia. E credo che attraggano i lettori perché emanano un fascino che è frutto delle loro imperfezioni. Entrambi rompono con i cliché dei soliti protagonisti dei romanzi polizieschi.

Lei scrive anche racconti per l’infanzia, qual è il rapporto tra queste opere i i gialli che l’hanno resa famoso: sono anch’essi delle favole ma nere e dedicate ad un pubblico di adulti?
A priori non c’è differenza dal punto di vista dell’intenzione e del concetto: voglio che i bambini si divertano a leggere ciò che scrivo proprio come mi auguro accada agli adulti. Naturalmente, i bambini sono molto più difficili da accontentare, sebbene il loro sia anche un pubblico più riconoscente. Devo essere sincero: aver raggiunto diverse generazioni di lettori mi sembra incredibile.

Nella sua scrittura la scansione del tempo ha un ruolo determinante e anche i suoi personaggi sembrano proporsi ai lettori attraverso una sorta di «cadenza» spazio-temporale più che linguistica. Si tratta di una caratteristica specifica del romanzo poliziesco?
Il poliziesco, come il thriller, sono generi meravigliosi: le persone muoiono ogni momento e tutti vanno alla massima velocità. Mi sembra una metafora perfetta del XXI secolo: credo che le regole non scritte di questi romanzi abbiano molto a che fare con il nostro attuale stile di vita. Quel pericolo fisico incombente, ogni sorta di minaccia sociale e, nel frattempo, l’orologio che corre, procede inesorabilmente, il tempo ti gioca contro. Viviamo ogni giorno sull’orlo del baratro, basta guardare i titoli dei giornali per rendersi conto che l’allarme è costante: se non è il Coronavirus ad ucciderci saranno gli immigrati e o i nuovi totalitarismi… La fine del mondo è annunciata quotidianamente dai media con solo qualche sfumatura temporale. Tutto scorre in modo rapidissimo, e siamo sottoposti ad una sorta di tirannia dell’immediatezza, bombardati ogni momento da qualche segnale. E a tutto ciò credo ci sia un solo grande rimedio: i romanzi. La narrativa ha una enorme capacità rigenerativa e ci può davvero salvare. Non è un tweet, non è un titolo sparato, ma qualcosa che ti costringe a fermarti e ad analizzare ciò che stai leggendo. Nel leggere devi mettere impegno e volontà, se no non otterrai nulla in cambio.

Anche quando un autore non è interessato alla politica si è soliti dire che «il giallo» mette in discussione i meccanismi di funzionamento del potere e dello Stato. È più complesso farlo in Spagna, dove la democrazia è tornata più di recente rispetto ad altri Paesi?
È vero, non si può che constatare come la Spagna abbia una democrazia molto giovane, ma, allo stesso tempo, credo si possa affermare che per certi versi i potenti, e il modo in cui operano i meccanismi del potere, hanno qualcosa di simile a tutte le latitudini. Perciò non credo che questo sia un fattore che ci differenzia davvero rispetto ad altri Paesi, anche se gli echi del franchismo che ancora si respirano nella nostra società ci rendono comunque in qualche modo «speciali».

Si tratti della letteratura o delle serie tv, il giallo spagnolo sta conoscendo un nuovo boom, anche se lo stile di autori quali Vazquez Montalban, González Ledesma o Eduardo Mendoza appare molto lontano. Che rapporto ha con queste figure storiche e a chi guarda come fonte di ispirazione?
Amo molto gli autori che ha citato, ma ai loro nomi ne aggiungerei qualche altro, a cominciare da Arturo Pérez-Reverte, Stephen King, Dolores Redondo e J. R. R. Tolkien. La cosa che amo di meno è dormire e perciò leggo ogni notte fino all’alba. Lo faccio da quando ero bambino e spero di non perdere mai questa abitudine perché credo di dovere prima di tutto alla mia insonnia il fatto di essere riuscito diventare uno scrittore.

Lei scrive di crimini terribili senza perdere il gusto per l’ironia. Ma nella lotta tra il bene e il male che mette in scena c’è davvero spazio per la capacità di sorridere ancora alla vita?
Senza umorismo non si va da nessuna parte, e non solo in senso figurato. C’è sempre spazio per una risata e per l’ironia. E questo anche nei momenti più difficili. Ho sempre cercato di applicare questa visione delle cose alla mia vita e voglio che emerga anche nei miei romanzi. Sono sicuro che se ridessimo un po’ di più, ci accorgeremmo che molte cose non sono poi così importanti come pensiamo.