Joris Lachaise

L’intersezionalità è un vocabolo entrato con forza nella riflessione dei movimenti politici e femministi degli ultimi anni, ma spesso rimane un orizzonte piuttosto che una pratica. In Transfariana, il documentario di Joris Lachaise presentato nella sezione Panorama, prende invece una forma sorprendente: quella di una storia d’amore nata in carcere tra Jaison, combattente delle Farc, organizzazione rivoluzionaria colombiana, e Laura, donna transessuale con un passato di sex worker per le strade di Bogotà. «Li ho incontrati nel 2016, ero stato invitato ad un festival nella capitale da un’associazione che si occupa dei diritti delle persone Lgbtq all’interno del carcere, tra cui c’erano anche loro. Abbiamo parlato di politica e filosofia, della discriminazione dei detenuti trans, e della loro storia». Trasfariana racconta la portata rivoluzionaria di questa unione per l’identità stessa delle Farc, fotografate nello storico momento dell’abbandono della lotta armata, in cui si apre un terreno comune e inedito con le istanze Lgbtq. Dal carcere de La Picota, con molte immagini girate al suo interno, fino alle strade di Bogotà e al vissuto difficile ma orgoglioso delle attiviste trans, Joris Lachaise, regista francese di base a Marsiglia, si è immerso in una realtà in fermento, dove un futuro diverso sembra potersi presagire per la politica colombiana e non solo.

Com’è stata accolta inizialmente la relazione tra Jaison e Laura all’interno delle Farc?

I compagni di lotta e di detenzione di Jaison si sono indignati, le Farc sono un’organizzazione radicata nelle campagne con valori paradossalmente molto tradizionali e conservatori. Hanno quindi scritto delle lettere al segretario generale che all’epoca si trovava all’Avana per negoziare l’accordo di pace con lo Stato colombiano. È iniziata una corrispondenza con la prigione de La Picota in cui è stata fatta una requisitoria su Jaison, militante fino ad allora molto rispettato. Alla fine il comitato ha deciso di esprimersi a favore della coppia, visto l’abbandono delle armi hanno ritenuto fosse strategicamente corretto puntare su un altro tipo di lotta e aprirsi alle diversità e alle minoranze. Jaison ha usato gli strumenti che gli appartengono, la sua dialettica e intelligenza politica, per trasformare la visione del partito.

Hai visto una genuina apertura da parte dei membri dell’organizzazione nei confronti delle persone trans?

C’è da dire che le Farc sono una realtà gerarchica e centralizzata, se i capi decidono la linea questa viene accettata. Prima l’omofobia era molto diffusa ma non era una posizione quanto piuttosto una mentalità, una costruzione culturale che può essere gradualmente demolita con una presa di coscienza. Per loro è stato come avere la risposta giusta senza conoscere ancora la domanda, che hanno colto dopo.

Come è stata la tua esperienza in Colombia? Sei stato accettato facilmente dalla comunità Lgbtq?

Sì, è stato tutto molto naturale perché Jaison e Laura si fidavano di me e mi hanno presentato alle altre persone. Ho passato con loro molto tempo, abbiamo condiviso momenti e serate di festa, si è creata un’amicizia. Per me ogni film è un occasione di incontro, per questo ci ho messo sei anni a realizzarlo. Inizialmente non potevo filmare perché Jaison era in prigione, era piuttosto frustrante, allora gli ho chiesto di usare il suo telefono per realizzare una sorta di autoritratto. Siamo riusciti a far entrare e uscire delle memorie usb su cui salvare le immagini. Questo impedimento è diventato una forza del film, anche la bassa definizione delle immagini racconta qualcosa della detenzione. Sapevo che sarebbe stato liberato a breve e gli ho detto che solo allora avremmo ritrovato l’alta definizione, nella vita libera.

Laura invece sconta una terribile condanna a vita, nel film dice di essere stata usata da alcuni criminali nell’ambito della sua attività di sex worker per adescare clienti da derubare, e ha pagato per tutti.

Recentemente ho mostrato il film a Bogotà ai protagonisti, ne sono molto fieri. Dopo la proiezione abbiamo parlato e siamo d’accordo sul fatto che Transfariana diventi un’arma politica, per Laura. Vorrei che servisse ad accendere la luce sul suo caso, sulla discriminazione di cui è stata vittima. Vogliamo organizzare un comitato con giuristi competenti per sondare tutte le possibilità e quando il film sarà presentato ufficialmente a Bogotà proveremo a invitare le cariche dello Stato, considerato che per la prima volta in Colombia è stato eletto un governo di sinistra, guidato da Gustavo Petro, e la vice presidente è un’afrocolombiana femminista sensibile a queste tematiche. Vorrei che Laura diventasse una figura emblematica, un caso che faccia giurisprudenza. Non voglio creare false speranze ma gli elementi per fare qualcosa di serio per lei ci sono.