La campagna presidenziale americana arriva ad uno dei suoi momenti topici. Stanotte (le 3 ora italiana) Joe Biden e Donald Trump entreranno negli studi televisivi della Cnn ad Atlanta per affrontarsi nel primo dibattito elettorale. I confronti (un altro è previsto per settembre) non erano scontati in un anno in cui Trump ha disertato i dibattiti con gli avversari nelle primarie repubblicane e alla luce del rischio che il formato live potrebbe rappresentare per l’ottuagenario Biden. Ma la sostanziale parità che nei sondaggi perdura ostinatamente fra i due, li ha infine indotti ad accettare lo scontro diretto nella speranza di dare una scossa agli indici di gradimento.

I dibattiti sono spesso una formalità, tanto più con un elettorato polarizzato e un divario calcificato come quest’anno, e due candidati con un ben noto curriculum di governo. D’altro canto, proprio i margini ristretti fanno si che per entrambi potrebbe essere l’occasione di influenzare quelle poche migliaia di voti nella manciata di stati chiave sufficienti a prevalere nel collegio elettorale. Un sondaggio Associated Press indica che il 60% degli americani hanno intenzione di seguire il dibattito malgrado allo stesso tempo il 70% dichiarino di essere scontenti di entrambe le alternative.

Il dibattito avrà un formato altamente controllato che non prevede pubblico, presenza di consulenti o documentazione (al podio saranno ammessi solo carta e penna). Su richiesta di Biden, la par condicio rigorosamente imposta da microfoni che si spegneranno dopo interventi alternati rigidamente cronometrati per impedire battibecchi estemporanei. Paradossalmente la campagna incentrata sull’incompetenza senile di Biden ora preoccupa Trump che teme di aver abbassato le aspettative al punto che il presidente rischia, comparativamente, di fare bella figura, come già accaduto a gennaio nell’ultimo discorso al Congresso sullo stato dell’unione.

Tuttavia è certamente Biden ad avere la strada più in salita. Per lui non basterà un‘occasionale battuta vincente, di quelle che talvolta decidono i dibattiti, ma servirà una performance di “sostenuta competenza” capace di proiettare il “vigore” associato alla presidenza. Per i democratici l’incubo sono le possibili defaillances in diretta tv (esiste anche una fazione che si augura una performance sufficientemente catastrofica da indurre il partito ad un immaginaria sostituzione con un altro candidato.)

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Se è vero, come ha scritto Doug Sosnik, consulente politico della campagna Clinton del 1996, che «il modo migliore per giudicare il vincitore di un dibattito è seguirlo a volume spento», Trump dovrebbe invece poter fare affidamento alla naturale disinvoltura da showman televisivo. Fino ad un certo punto. Davanti ad un pubblico nazionale le gaffe e le astruse tangenti che caratterizzano i suoi chilometrici comizi per inamovibili sostenitori (di recente il repertorio comprende elogi di Hannibal Lecter e Al Capone), più che esprimere «smargiassa simpatia» potrebbero rammentare ad un’amnesica nazione il narcisismo e la tracotanza che furono cifra di un mandato culminato nell’assalto al Parlamento.

Per quanto riguarda la sostanza sono fin troppo prevedibili gli attacchi di Trump su inflazione (peraltro scesa al 3%) e criminalità dilagante, un falso di efficace presa, specie se legato all’“invasione degli immigrati”. Insomma l’affidabile repertorio caratterizzato dalla combinazione di aggressività e vittimismo comune alle destre risorgenti e di cui Trump detiene il copyright.

Biden attaccherà sulla politica anti-abortista dell’avversario che ha sprofondato metà del paese in un oscurantismo che presagisce nuove crociate illiberali su diritti (compresi contraccezione e Lgbtq), integralismo religioso e l’ondata di «deportazioni di massa» promessa da Trump. L’epilogo golpista del suo mandato, le recidive accuse di «elezioni rubate», per non dire della recente condanna penale dovrebbero sulla carta essere squalificanti. Il fatto che il candidato con simili credenziali antidemocratiche abbia una plausibile possibilità di vittoria (e un vantaggio statistico in 5 dei 7 swing states) dicono molto dell’anomalia post politica rappresentata dal populismo Usa e su come l’elezione difficilmente verterà su programmi di governo.

Invece le presidenziali del 2024 promettono di somigliare più alle prossime elezioni francesi: un tentativo in extremis di arginare il sopravvento di una fazione post democratica con radicali riforme costituzionali al centro del gioco