Dopo averla tenuta in sospeso per mesi, l’ex vicepresidente Joe Biden ha annunciato la sua candidatura alla presidenza degli Stati uniti, facendo così salire a 21 il numero di candidati democratici in corsa nel 2020, e nonostante Biden non fosse ufficialmente in lizza, il suo nome è da sempre in testa ai sondaggi come favorito alle primarie del suo partito.

Nel video in cui annuncia la candidatura, Biden, non avendo bisogno di presentarsi, non parla di sé, ma di «noi»; attacca direttamente il presidente in carica e ricorda lo Unite the Right rally, la manifestazione di estrema destra organizzata da suprematisti bianchi a Charlottesville, in Virginia, quando nell’agosto 2017 un suprematista bianco si lanciò in auto sulla folla di contro-manifestanti, uccidendo una ragazza, Heather Heyer, e ferendo 19 persone.

In quell’occasione Trump disse che in piazza c’erano «belle persone da entrambe le parti» e Biden ricorda che a seguito di quei fatti lui scrisse sul New York Times che gli Usa erano (e sono) «in una battaglia per l’anima di questa nazione» e il suo messaggio resta quello di salvare l’anima degli Usa. Prima di essere il vice presidente di Obama, Biden era stato senatore dello Stato del Delaware, e il fautore della maggior parte delle leggi in difesa delle donne vittime di violenza domestica, sin dal Violence Against Women Act che dal 1994 detta le linee legislative sul tema. Biden ha fama di centrista e la sua candidatura, nonostante sia in testa ai sondaggi, è vista in modo ambivalente: si ricordano sia le battaglie per i diritti civili Lgbtq quanto il suo atteggiamento accusatorio e sgradevole nei confronti di Anita Hill, la donna afroamericana che nel 1991 accusò di molestie un giudice che stava per andare alla Corte Suprema, o l’essere stato in sostenitore della guerra contro la droga e l’incarcerazione di massa.

Ma erano altri tempi, e forse è proprio questo il problema; Joe Biden – che a conti fatti è uno dei personaggi più decenti nel panorama politico Usa – è un uomo del passato, legato all’establishment del partito di cui è incarnazione e forma, fuori da quel vento di cambiamento radicale che investe gli Usa. Il suo programma, come quello dei suoi 20 colleghi in corsa, non si dissocia dalle linee guida dettate da Sanders bel 2016: sanità ed istruzione per tutti, salario minimo a 15 dollari l’ora, pari retribuzione per le donne, fine della persecuzione dei migranti.

Ciò che differenzia le candidature sono i mezzi per arrivare a questi scopi, le relazioni con Wall Street e l’intento di farla o meno finita col capitalismo. Nella rosa dei possibili candidati democratici ci sono 21 diverse possibilità di scelta guidate dal moderato 76enne Biden seguito da vicino dal 77enne socialista Bernie Sanders, che rappresentano il bivio a cui si approccia il partito per scegliere la strategia con cui cercare di battere Trump. I candidati che seguono i due veterani senatori sono due giovani sindaci: il texano Beto O’Rourke, e dall’Indiana Pete Buttigieg, e anche qui abbiamo un bivio, se scegliere una personalità carismatica, come nel caso dei sindaci o la prassi dettagliata per attuare il programma, e su questo secondo fronte ad essere la più credibile è senza dubbio la senatrice liberal Elizabeth Warren, vera macchina da guerra nella linea da seguire per realizzare le promesse elettorali.

Da questo punto di vista Biden metterebbe insieme le due cose: non deve dimostrare di saper realizzare un programma visti gli 8 anni passati con Obama, e raccoglie consensi bipartisan, ma non l’afflato rivoluzionario di cui questo Paese sembra aver bisogno.