Il sì di Schlein al referendum della Cgil contro il Jobs act e la precarietà è arrivato prima del previsto. Domenica, durante una iniziativa a Forlì, la leader ha sciolto le riserve: «Non potrei far diversamente visto che è un punto qualificante della mozione con cui ho vinto le primarie l’anno scorso». Ieri è tornata sull’argomento: «Io nel 2015 ero in piazza con la Cgil contro l’abolizione dell’articolo 18. Ci sono state scelte sbagliate del passato, che anche i nostri elettori non ritengono corrette, visto l’esito delle primarie», ha ribadito. Per poi negare l’immagine di un partito diviso: «Il Pd fa i congressi e li fa davvero, discute e poi definisce una linea. Legittimamente altri non firmeranno il referendum. Non vedo un partito diviso e frammentato come tanti raccontano, ma un partito in buona salute».

TRA GLI EX RENZIANI il malumore è palpabile. L’ex ministra Marianna Madia e l’ex capogruppo Simona Malpezzi annunciano di non essere intenzionate a firmare. Così anche Alessandro Alfieri, membro della segreteria. Madia non nasconde l’accusa a Schlein di essere andata al traino di Conte. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ora candidato alle europee, fa il diplomatico: «La firma mi sembra una cosa coerente con la storia politica di Schlein. Siccome firmare sarebbe totalmente incoerente con la mia storia, io sicuramente non firmerò. Penso che il Jobs act non abbia in alcun modo aumentato la precarietà che, anzi, è diminuita negli ultimi dieci anni. Ognuno rimane della sua idea, non credo che sia interesse nostro oggi vivere una divisione su un tema di questa importanza».

ANCHE STEFANO BONACCINI sfidante al congresso e leader dell’area riformista, getta benzina sul fuoco: «Evitiamo di schiacciare il dibattito su una iniziativa referendaria legittima, da parte della Cgil: come ha chiarito Schlein, il partito non si schiera su autonome iniziative di altri, su cui ciascuno è libero di firmare o meno sugli specifici punti, ma si unisce sulle nostre battaglie da portare in Parlamento. A partire dalla nostra proposta di legge di iniziativa popolare sul salario minimo. Quanto al problema del precariato, discutiamone senza tabù, ma la strada maestra resta per me quella di rendere più vantaggioso il lavoro stabile, facendolo costare assai meno di quello precario». Sul salario minimo, il governatore emiliano lancia un messaggio anche a Renzi, agitatissimo nel dire che il Pd che votò il Jobs act ora rinnega se stesso: «Lo dico anche a Matteo, le opposizioni in Parlamento devono trovare punti comuni», incalza Bonaccini.

IL SINDACO DI FIRENZE Dario Nardella, che fu renziano della prima ora, potrebbe firmare i quesiti di Landini: «Sono sempre stato molto perplesso sulla cancellazione dell’articolo 18, ma sono altrettanto perplesso sul fatto che oggi la migliore soluzione sia un referendum abrogativo. Forse è necessaria una riforma strutturale per la quale battersi, come stiamo facendo col salario minimo».

Anche Andrea Orlando, leader della sinistra dem, preferirebbe la strada parlamentare: «Sto riflettendo se firmare per il referendum, francamente penso che i parlamentari, avendo altri strumenti, possono anche esimersi», spiega a Un giorno da pecora su Radio1. «Ho presentato una proposta di legge per modificare in larga parte la normativa, proprio in coincidenza con i punti affrontati dal referendum, dunque la mia firma sarebbe piuttosto irrilevante. La Corte Costituzionale ha posto in questi anni una serie di questioni al legislatore che fino a qui non sono state affrontate». «Si tratta quindi di un impegno per il futuro, non di una recriminazione per il passato», insiste l’ex ministro del Lavoro, «e credo che le firme possano servire ad aiutare il Parlamento ad affrontare il tema».

IL PD SI MUOVE UNITO sul salario minimo e sulla proposta di legge Schlein per portare la spesa sanitaria al 7,5% del pil, a sua volta mutuata da una iniziativa della regione Emilia-Romagna. «Chiederemo di calendarizzarla al più presto», dice la capogruppo alla Camera Chiara Braga. E Bonaccini: «Una proposta sacrosanta. Sarebbe una rivoluzione perché rimetterebbe al centro un forte sistema sanitario nazionale, capace di assicurare le cure gratuite a tutte le persone a prescindere dal reddito e dal luogo di residenza». Schlein incalza la destra: «Se davvero vogliono affrontare il tema delle liste d’attesa lo dimostrino votando insieme questa legge».