«Almeno 26 soldati sono stati uccisi e 20 feriti» in una serie di scontri avvenuti tra martedì e venerdì nel centro del Mali, tra Mopti e Segou. Il comunicato delle Forze armate maliane (Fama) è stato diffuso ieri, festa della «sovranità nazionale ritrovata», a ricordo della mobilitazione di un anno fa, quando i maliani scesero nelle strade per protestare contro le sanzioni post-golpe della Comunità economica dell’Africa Occidentale (Cedeao), successivamente revocate.

Il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad Al-Qaeda, ha rivendicato gli attacchi che hanno avuto come obiettivo «soldati e mercenari del gruppo Wagner nella regione di Mopti», con «5 russi uccisi durante l’agguato».

Dal 2012 il Mali è base dei diversi gruppi jihadisti che poi si sono estesi ai paesi vicini, Burkina Faso e Niger, e attualmente si stanno radicando sempre più verso i paesi del Golfo di Guinea (Costa d’Avorio, Togo, Benin). La giunta militare, guidata dall’attuale uomo forte del Mali, Assimi Goita, si è progressivamente allontanata dall’alleato francese e dai partner occidentali per rivolgersi militarmente e politicamente a Mosca. Con il coinvolgimento, sempre smentito dal governo di Bamako, della compagnia di mercenari Wagner, accusata da numerose Ong di «omicidi indiscriminati e torture».

Il governo maliano ha dichiarato, lo scorso febbraio 2022, di aver «messo all’angolo i jihadisti che sono in fuga da tutto il paese» con un’operazione lanciata nel Mali centrale. La realtà è che dopo il nord e il centro, la minaccia jihadista è sempre più significativa nel sud e riguarda anche la capitale Bamako, come ad inizio gennaio quando 8 gendarmi sono stati uccisi a Kassela. «Oggi lo Stato maliano non controlla l’80% del territorio nazionale. Da una parte si pagano miliardi per i mercenari di Wagner, senza alcun risultato, dall’altra ci sono 5 milioni di maliani che non riescono a sfamarsi» ha detto Ismaël Sacko principale oppositore alla giunta e presidente del Partito socialista democratico africano (Psda).

«Inesorabile avanzata jihadista e situazione di grave instabilità nel Sahel», un quadro confermato lo scorso  martedì dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.