Jafar Panahi è libero. Il regista iraniano che era detenuto nel carcere di Evin dallo scorso 20 luglio è stato rilasciato ieri su cauzione. Per protestare contro la sua detenzione da lui definita «una presa in ostaggio», aveva iniziato l’altro ieri lo sciopero della fame. In una lunga dichiarazione, pubblicata sul suo profilo Instagram dalla moglie, Tahereh Saeedi, il regista spiegava che non si sarebbe fermato fino alla sua liberazione – anche se questo poteva costargli la vita.
Con Panahi, Leone d’oro per Il cerchio (2020), e Orso d’oro a Berlino con Taxi Tehran (2018) che da molti anni non può uscire dall’Iran – per lui i maggiori festival di cinema lasciano sempre una sedia vuota col suo nome – si sono schierate in questi mesi le maggiori istituzioni culturali internazionali – dalla Mostra del cinema di Venezia alla Berlinale – chiedendone l’ immediata liberazione.

ARRESTATO mentre si trovava nell’ufficio del procuratore per protestare contro l’arresto di un altro regista, Mohammad Rasoulof (liberato il 7 gennaio, dopo adue settimane di permesso per ragioni di salute), Panahi era stato portato subito a Evin, anche se la condanna per «propaganda contro il regime» risaliva al 2011, e perciò secondo la legge iraniana era ormai caduta in prescrizione (il limite massimo per attuarla sono dieci anni, ndr).
Il 15 ottobre la Corte suprema aveva annullato la sentenza lasciando sperare in una prossima liberazione che però non era avvenuta, e secondo la moglie e l’avvocato del regista i servizi di sicurezza iraniani avevano obbligato quelli giudiziari a tenerlo ancora in cella.
Il caso di Panahi sarà rivisto in marzo, il rilascio potrebbe quindi essere solo momentaneo. Negli ultimi giorni chi è più vicino al regista diceva di essere preoccupato per il suo stato psicologico.