Stavolta il dado sembra davvero tratto: il Pd ha deciso di andare avanti con lo Ius soli al Senato fino all’approvazione. Merito forse più di San Pietro che del Nazareno. Il Vaticano sta esercitando da giorni pressioni massicce sui centristi di Ap per spingerli se non ad approvare la legge almeno a non affossarla ma, anche se nessuno nel Pd lo ammetterebbe, è probabile che anche il primo partito di governo sia stato pungolato a dovere dalla Santa Sede. Il repentino abbassamento di toni sul fronte libico, in realtà, sembra indicare una vera e propria trattativa, con lo Ius soli come prezzo della fine del cannonegiamento vaticano sulle scelte di Minniti. Ma anche palazzo Madama, in concreto il gruppo dei senatori del Pd, ci ha messo del suo, insistendo per affrontare sia i rischi dell’aula che quelli di un’opinione pubblica ostile.

La legge sulla cittadinanza dunque arriverà al voto. Non subito però. Il 4 ottobre dovrà essere approvato dall’aula di palazzo Madama il Def ed è uno dei passaggi più delicati perché servono 161 voti, l’effettiva maggioranza assoluta. Quella relativa non basterebbe.

Di conseguenza è fondamentale evitare screzi seri nella maggioranza sino a quel momento, anche se Forza Italia sta già offrendo un discreto ma efficace appoggio. Ai senatori di Ap che bussano alla porta di Arcore, che non sono pochi, il capogruppo azzurro Romani ha risposto con l’ordine di rinviare tutto a dopo l’approvazione del Documento.

L’ora dello Ius soli arriverà nella finestra tra il voto sul Def e l’avvio del percorso della legge di stabilità, un paio di settimane più tardi. Sul come muoversi, però, governo e Pd non hanno ancora preso una decisione definitiva.

Resta in campo l’idea, sponsorizzata dai renziani di palazzo Madama, di modificare la legge per renderla meno indigesta ai centristi, tanto più che Alfano ha un po’ abbassato la guardia e ha detto che la decisione sulla legge più sofferta dai tempi delle unioni civili verrà presa solo nella Direzione convocata per il 26 settembre. La modifica sarebbe il cosiddetto Ius culturae: la cittadinanza verrebbe cioè riconosciuta al termine del percorso di studi, indipendentemente dalla nascita o meno su suolo italiano.

E’ un’idea che convince pochissimo il capogruppo dem Luigi Zanda e i suoi senatori. Non solo e forse non tanto perché la legge dovrebbe poi tornare alla Camera ma perché, una volta aperti i cancelli agli emendamenti, nessuno può dire con certezza come il testo arriverà al voto finale. Solo la Lega ha messo sul tavolo 48mila emendamenti e non si può pensare di evitare ogni scoglio a salti da canguro.

L’alternativa è giocarsi il tutto per tutto e mettere la fiducia sul testo così com’è. La condizione essenziale per questo è che Ap accetti di uscire dall’aula. E’ su questo tasto che il Vaticano sta martellando ed è probabile che un Alfano a dir poco indebolito dai sondaggi devastanti che piombano su Roma dalla Sicilia finisca in un modo o nell’altro per accettare. Anche così i numeri del Pd e di Mdp non basterebbero. Però Sinistra italiana si è già detta pronta a votare una “fiducia di scopo”, una decina almeno di altri senatori del gruppo misto dovrebbero fare la stessa scelta e sei senatori di Ap risponderanno all’appello del papa votando a favore.

Fi, dal canto suo, non ha alcun interesse a provocare una crisi a finanziaria aperta proprio ora che incassa i riconoscimenti del Ppe e di Angela Merkel. Dunque qualche uscita strategica va messa nel conto. L’approvazione non è certa ma decisamente probabile.

Non sarà comunque una passeggiata, con la Lega che già minaccia di paralizzare il Parlamento pur di sbarrare la strada all’odiata legge e un’opinione pubblica che, drogata da continue campagne allarmiste, resta in buona parte contraria.

Se riuscirà a mettere in buca la palla più difficile, Renzi considererà la legislatura conclusa, legge di stabilità a parte. Ha già detto ai suoi che le Camere vanno sciolte entro la fine dell’anno e stavolta potrebbe non incontrare troppe resistenze. Sempre che non si riapra uno spiraglio sulla legge elettorale, il che rinvierebbe di almeno un mese lo scioglimento rimettendo così in campo altre due leggi nevralgiche: quella sui vitalizi e quella sul bio-testamento.