Divisi sul territorio, Lega e Fratelli d’Italia si ricompattano alla Camera pur di fermare la riforma della cittadinanza e il disegno di legge sulla cannabis. I due provvedimenti sono arrivati ieri nell’aula di Montecitorio dopo il via libera delle commissioni e hanno avuto l’effetto di accendere subito lo scontro. Al punto che Matteo Salvini non si risparmia e arriva a parlare di «volgare provocazione che mette a rischio la maggioranza», mentre Giorgia Meloni chiede che entrambi i ddl vengano cancellati dal calendario dei lavori.

Ad agitarsi di più però sono i leghisti. Mentre l’aula si appresta nel pomeriggio ad avviare la discussione sul ddl Magi che legalizza la coltivazione in casa di quattro piantine di cannabis per uso personale, viene indetta una riunione straordinaria dei deputati del Carroccio alla quale partecipa lo stesso Salvini. Riunione il cui clima viene descritto come «molto teso» e nella quale parlamentari «furiosi» parlano di «inammissibile forzatura» da parte di Pd e M5s su ius scholae e cannabis. Non è mancato neanche chi, a proposito della riforma della cittadinanza, avrebbe affermato che «la metà dei reati commessi da minorenni sono in capo a immigrati». «Così non si può andare avanti – si sfoga con i cronisti il capogruppo Riccardo Molinari – per noi sarebbe difficile spiegare ai cittadini che ci occupiamo di questo invece che dei rincari dei carburanti».

Anche i deputati di Forza Italia si riuniscono nel pomeriggio. La posizione del partito di Berlusconi è però più articolata. In commissione Affari costituzionali le due deputate presenti hanno votato in maniera opposta: mentre Renata Polverini ha sempre sostenuto il testo base messo a punto dal presidente Giuseppe Brescia, giunti martedì sera al dunque la collega Annamaria Calabria ha votato contro. Una divisione che attraversa Fi e che potrebbe farsi più evidente già da questa mattina con l’avvio della discussione in aula.

Tutt’altro che rivoluzionaria, la riforma che introduce lo ius scholae prevede la possibilità per gli oltre 800 mila ragazzi nati in Italia da genitori stranieri o arrivati nel nostro Paese prima di ave compiuto 12 anni, di ottenere la cittadinanza italiana una volta terminato «positivamente» un ciclo scolastico di cinque anni, oppure al termine di corso professionale (un decreto del ministero del lavoro fisserà i criteri necessari). Ma anche la possibilità che a richiedere cittadinanza per il figlio minore sia uno solo dei genitori e non più entrambi come previsto in precedenza. Cancellato anche l’obbligo della residenza «ininterrotta» nel nostro paese.

Norme che potrebbero tranquillamente essere considerate di buon senso, ma viste invece come fumo negli occhi da Lega e Fratelli d’Italia e che rischiano di aprire una crepa in Forza Italia. Con Antonio Tajani che prova a mediare: «Noi siamo favorevoli al principio dello ius scholae, ma chiediamo che ci siano regole chiare per concedere la cittadinanza italiana a chi non è italiano», spiega il coordinatore del partito. «Quindi cinque anni più tre di scuola con certificazione oppure una qualificazione professionale di primo livello certificata». Facile prevedere dal centrodestra una valanga di emendamenti per bloccare o quantomeno modificare il testo arrivato in aula.

Sulla carta i numeri per approvare almeno lo ius scholae così com’è ci sarebbero. A favore della legge sono infatti Pd, Leu, M5S, Italia Viva, Autonomie con un’apertura anche da parte di Italia al Centro del governatore della Liguria Giovanni Toti. Sorprese non dovrebbero arrivare neanche da parte dei 51 deputati di Insieme per il futuro del ministro degli esteri Luigi Di Maio, anche se dal gruppo fanno sapere di doverne ancora discutere. I demaiani presenti in commissione Affari costituzionali si sono comunque espressi a favore della legge. «Mi sembra evidente la volontà della sinistra di far saltare il governo», torna ad avvertire in serata Matteo Salvini. Al leader della Lega replica la capogruppo del Pd alla Camera Simona Malpezzi: «Moltissimi ragazzi aspettano una legge di civiltà che riconosca il loro diritto alla cittadinanza. Il parlamento deve dare una risposta a una richiesta ampiamente diffusa nella società che, anche in questo caso, è più avanti del legislatore». Identica la posizione del relatore della legge, il grillino Giuseppe Brescia: «A me pare che la legge non tolga nulla a nessuno, a me pare anzi che si aggiunga qualcosa, qualcosa di importante alla nostra comunità».