Blindata in commissione affari costituzionali, la nuova legge elettorale arriva oggi nell’aula della camera dove dovrebbe restare, secondo i piani dell’intesa a quattro che la regge (Pd, M5S, Forza Italia e Lega), non più di tre o quattro giorni. Per correre poi al senato e consentire l’approvazione definitiva nella prima settimana di luglio. E tenere così aperta la finestra elettorale di settembre-ottobre.

Proprio questo desiderio di accelerazione sta dietro la più vistosa forzatura della legge, evidenziata su queste pagine la scorsa settimana (il manifesto giovedì 1 e venerdì 2 giugno) e adesso cresciuta nella consapevolezza dei deputati. Il testo firmato dal relatore Fiano, infatti, oltre alla consueta delega al governo per ridisegnare i collegi elettorali, acclude il lavoro già fatto nell’eventualità che Renzi riesca a ottenere le sospirate elezioni anticipate. I collegi prefabbricati dal Pd, però, sono stati disegnati alla camera prendendo come riferimento quelli che la commissione Zuliani aveva previsto al senato per il Mattarellum nel ’93. Dunque sulla base del censimento di oltre un quarto di secolo fa, mentre la Costituzione agli articoli 56 e 57 parla di distribuzione dei seggi per circoscrizione sulla base dell’ultimo censimento. Il risultato è assai squilibrato e ci sono collegi grandi che hanno il doppio della popolazione di quelli piccoli. È vero che la ripartizione dei seggi spettanti a ogni lista ha come riferimento il territorio nazionale, ma il rischio di incostituzionalità è comunque alto. Fiano ha promesso di ritornarci su in aula e la soluzione potrebbe essere quella di cancellare la norma «paracadute», stringendo i tempi della delega al governo: 30 giorni così da consentire ugualmente lo scioglimento delle camere dopo ferragosto. Al Viminale – dove non c’è più Alfano notoriamente ostile al voto anticipato, ma Minniti – si stanno già ponendo il problema.

Nell’ultima versione della legge, la soglia di sbarramento è ferma al 5%, i collegi uninominali della camera sono diventati 232 e del senato 112, il metodo di assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni prevede adesso la prevalenza dei vincitori nell’uninominale, poi si passa ai listini e alla fine anche ai migliori perdenti nei collegi. Ma i partiti potranno scegliere se presentare liste proporzionali lunghe o corte (da due a sei candidati bloccati) dunque potranno decidere se riservare un paracadute ai candidati nell’uninominale, anche perdenti.

Ragionamento analogo per le liste che puntano a superare lo sbarramento – come una potenziale lista di sinistra, o di centristi riuniti – ma hanno poche speranze di vincere in un collegio uninominale. In questo caso gli eletti nelle circoscrizioni saranno scelti dal listino bloccato, cominciando dai capilista. Salvo nelle circoscrizioni dove quella lista avrà diritto a un solo eletto che in questo caso sarà il miglio perdente nelle sfide uninominali. Un modo per incentivare l’impegno dei candidati nei collegi, indispensabile visto che c’è un solo voto che dal collegio automaticamente si trasferisce alla lista. Se una lista non supera lo sbarramento, invece, ma il suo candidato vince in un collegio o anche in più di uno (un caso limite, certo) c’è il rischio che quel collegio resti senza rappresentanza in parlamento, dal momento che lo sbarramento prevale sull’uninominale a differenza che in Germania.

Si tratta di previsioni e calcoli che i partiti stanno affrontando in poche ore, con la paura di sbagliare qualche mossa. Non è passata la proposta di Mdp di introdurre le preferenze, anche perché M5S è rimasta leale all’accordo con Pd e berlusconiani, da qui ieri molta polemica tra grillini e bersaniani. Con i primi che promettono di tornare sulle questioni delle preferenze e del voto disgiunto – possibile e praticato dal 20% degli elettori in Germania – in aula. In realtà lo hanno già abbandonato in commissione e si capisce: se Renzi ha già cominciato a fare campagna per il voto utile, anche M5S conta di approfittare del voto singolo per chiamare a raccolta, specularmente, tutti gli anti renziani.
Non è l’unico dispetto che il Pd sta facendo ai carissimi nemici di Mdp, perché la vecchia norma dell’Italicum che fa risparmiare la raccolta di firme a tutti i partiti costituiti nel gennaio 2014 in gruppo parlamentare – vedi il manifesto 2 giugno – è stata estesa anche al senato. Dunque in caso di elezioni anticipate i bersaniani, e solo loro tra i partiti che oggi sono in parlamento, dovranno aprire i banchetti in estate per raccogliere qualcosa come 50mila firme. Nella legge si parla sì di superamento delle burocrazia e firme digitali, ma solo per una delega al governo. In questo caso con calma.