Tutto rinviato al 25 marzo: ieri al Tribunale di sorveglianza di Torino si è tenuta l’udienza che avrebbe dovuto decidere in merito alla richiesta della pm Pedrotta della Procura del capoluogo piemontese di porre in sorveglianza speciale cinque italiani che hanno preso parte in Siria del nord alla rivoluzione di Rojava e alla lotta contro l’Isis.

La difesa di Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Maria Edgarda Marcucci, ha presentato le dichiarazioni dei cinque giovani (lette in aula); l’appello dei 340 intellettuali, giuristi e artisti che nei giorni scorsi hanno espresso loro piena solidarietà; l’ordine del giorno del consiglio comunale di Torino che ha impegnato la sindaca Appendino a condannare la richiesta di misura restrittiva; e note tecniche con vogliono confutare la presunta pericolosità sociale che la Procura attribuisce ai cinque.

Alla base della richiesta di sorveglianza speciale – misura restrittiva di epoca fascista, introdotta dal Codice Rocco, che limita enormemente la libertà di un cittadino in assenza di reato – c’è infatti il collegamento (politico) tra l’attivismo in Italia e la partecipazione alla rivoluzione in Siria del nord. Hanno imparato a usare le armi, dice in soldoni la Procura, e sono attivi nelle lotte No Tav, per il diritto alla casa e allo studio. Ergo, sono pericolosi.

«Il rinvio è probabilmente dovuto al clima negativo che c’è attorno a questo tentativo della Procura – spiega a il manifesto Davide Grasso, contro cui la pm Pedrotta ha usato come «prove» anche i libri scritti dopo il ritorno in Italia – Davanti ai giudici abbiamo rivendicato la partecipazione alla rivoluzione e alla lotta all’Isis e spiegato le ragioni umanitarie, civili e sociali che ci hanno spinto. Abbiamo prodotto l’appello di 340 personalità (tra loro il filosofo Maurizio Ferraris, il giurista Ugo Mattei, l’antropologo Roberto Beneduce, l’attore Elio Germano, il regista Poalo Virzì, lo scrittore Stefano Benni, ndr) e la lettera dello zio di Valeria Solesin che ringrazio pubblicamente. E soprattutto prove che smentiscono le ipotesi della Procura riguardo i nostri comportamenti tenuti negli ultimi anni in Italia».

«L’impianto è molto debole, come ha sottolineato l’avvocato Novaro, una debolezza dovuta alla superficialità». Mentre fuori dal tribunale si teneva un sit-in di solidarietà, la polizia ha impedito al regista Carlo Bachschmitt di riprendere l’udienza, nonostante fosse stato autorizzato dalla stessa corte: «Un dato che la dice lunga sul nervosismo della Procura», commenta Grasso. Che aggiunge un altro dato «politico»: «La pm ha contestato il fatto che si parlasse di Siria e Ypg dicendo che sono cose che non interessano e si è opposta a un testimone. Ha poi detto di non aver mai associato le Ypg ad attività terroristiche. Ma gli atti, letti in aula dai nostri avvocati, l’hanno smentita».

Si resta in attesa del 25 marzo. Probabilmente l’ultima udienza. Ma non trattandosi di un processo (non c’è reato e dunque non c’è sentenza), la decisione del Tribunale sarà notificata entro i 10 giorni successivi ai cinque giovani.

«Quest’udienza mostra come il silenzio dei media degli ultimi giorni abbia influito – continua Davide – All’inizio se n’è parlato soprattutto a livello locale, ma poi è calato il silenzio nonostante la manifestazione di sabato a Torino. La Procura vincerà solo con il silenzio. E se la sorveglianza speciale è già applicata nei confronti di numerosi attivisti, nel caso delle Ypg un tale precedente porterebbe a una cascata di misure analoghe anche nei confronti di chi è andato in Siria a fare informazione, come Jacopo».

La sorveglianza speciale prevede, tra le altre restrizioni, divieto di dimora nel comune, revoca di patente e del passaporto, divieto a partecipare a riunioni pubbliche o assemblee. «Come ha detto il professor Mattei, è l’intero impianto a dover essere espunto dal codice penale italiano. È eredità di uno Stato fascista di polizia: non si può giungere a limitazioni arbitrarie della libertà senza accuse né reati. Tali misure sono una sopravvivenza totalitaria che la società italiana vuole superare. Misure fasciste usate contro persone che hanno combattuto per una rivoluzione legittima e giusta e contro un nemico barbaro che mette in pericolo la stessa Europa».