È una missione se non impossibile almeno difficile quella di Wang Yi, passato nel dicembre scorso dall’alta carica di ministro degli esteri cinese a quella ancora più alta di direttore della Commissione esteri del partito, capo della diplomazia cinese nonché uomo di fiducia di Xi Jinping: resuscitare quel progetto di accordi commerciali con l’Europa le cui azioni sono precipitate dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Nel grand tour diplomatico iniziato a Parigi con Macron e che si concluderà a Mosca, la tappa italiana, articolata nell’incontro di ieri con il ministro degli esteri Tajani e in quello di oggi con il presidente Mattarella, è particolarmente importante: l’Italia è il solo Paese che non ha solo esaminato con interesse gli accordi commerciali della Belt and Road, la nuova Via della Seta, ma nel 2019, ai tempi del governo gialloverde, ne ha anche firmati 29. Scadranno l’anno prossimo ma, se non verranno denunciati ufficialmente dal governo italiano entro il marzo 2024, si rinnoveranno automaticamente.

Dal punto di vista commerciale gli accordi stretti a suo tempo da Di Maio hanno portato a un volume di scambi rilevante anche se probabilmente inferiore a quel che si aspettava il primo governo Conte. L’interscambio non è stato stato fermato neppure dalla pandemia e nel 2022 ha toccato i 77,88 miliardi di dollari. Gli scambi con la Germania, che pure non aveva firmato la Belt and Road, sono però ben più massicci, avendo raggiunto nel 2022, per il quinto anno consecutivo, i 200 miliardi. Ove il memorandum venisse stracciato dal governo di Roma, infine, non sono escluse rappresaglie commerciali, nelle quali la Cina si è già prodotta nei rapporti l’Australia e con la Lituania.

Al momento della firma, l’attuale premier definì l’accordo «un grave errore». Il suo predecessore e per molti versi maestro, Mario Draghi, nel 2021 ha congelato l’intesa bloccando ogni ulteriore passo su quella strada. Non è escluso però che, in veste di premier, Giorgia Meloni cambi idea e scelga di rinnovare gli accordi. L’ostacolo è politico, non commerciale. Gli Usa esercitano pressioni di ogni tipo per evitare qualsiasi incremento delle relazioni commerciali tra Cina ed Europa. L’accusa rivolta alla Cina di aver tacitamente approvato l’invasione dell’Ucraina è tra gli argomenti principali adoperati da Washington per forzare la mano agli alleati europei, la crisi dei palloni-spia cinesi certo peggiora il quadro e in ogni caso non è facile immaginare che la premier, dopo aver puntato moltissimo sul qualificarsi come alleata più fedele degli Usa sul versante ovest della Ue, scelga di irritare profondamente la Casa Bianca confermando il memorandum con la Cina.

L’incognita è però proprio la guerra e il ruolo che Pechino potrebbe svolgere. Prima dell’incontro di ieri sera, Tajani è stato quasi esplicito: «Mi auguro che la Cina possa svolgere un ruolo importante per convincere la Russia a sedersi al tavolo della pace. La Cina ha un grande ruolo da svolgere e anche se è un nostro rivale sistemico, bisogna avere un dialogo costante». Di Via della Seta, giura il ministro italiano, per ora non è il caso di parlare: «È prematuro. Ci sono altre emergenze internazionali». La sorte del memorandum, insomma, dipende in buona parte da se e quanto la Cina eserciterà la sua influenza su Putin.