Il mancato rinnovo degli sconti di Draghi su carburanti e bollette della luce e del gas, il fallimento delle politiche anti-inflazione con l’irrisorio «trimestre anti-inflazione», l’inadeguatezza del taglio del «cuneo fiscale», l’endemico ritardo del rinnovo dei contratti nazionali e i bassi salari strutturali sono alla base del calo dello 0,5% del potere di acquisto delle famiglie registrato ieri dall’Istat nel 2023. E questo è accaduto nonostante il recupero del reddito disponibile che è salito del 4,7%, pari ad un incremento di 58,7 miliardi di euro. Ma questi soldi sono stati rimangiati dal rialzo dei prezzi che ha neutralizzato il recupero. Ciò ha portato ad un altro fenomeno registrato ieri dall’Istat: il calo dei risparmi al 6,3%, dal 7,8% del 2022. Così è stato registrato il valore più basso dal 1995, anno di inizio del periodo di riferimento dei conti.

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In questo scenario va segnalata anche la previsione economica di Bankitalia di ieri: nel prossimo triennio «l’occupazione, in forte aumento nel 2023, continuerà a crescere ma a ritmi inferiori a quelli del prodotto». Inoltre è stata confermata la stima al ribasso del Pil 2024: +0,6%. E ieri Meloni ha visto Giorgetti per capire come correre al riparo. Martedì è previsto il varo del Documento di Economia e Finanza (Def).

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L’insieme di questi numeri smonta la propaganda, già poco credibile, del governo Meloni che, come molti altri, ha maturato una tendenza a strumentalizzare i dati e a interpretarli in maniera fantasiosa. Oltre a una stagnazione tendente al negativo delle condizioni economiche delle famiglie, i dati confermano non solo l’inadeguatezza delle politiche governative ma anche l’impotenza di un esecutivo che ha le mani legate. Lo stesso però riesce a stringersi i nodi da solo per evitare di modificare l’austerità in atto già all’indomani della chiusura dell’emergenza pandemica che fu usata per una effimera politica dei sussidi senza criterio né volontà di riforma strutturale del Welfare, del sistema fiscale e degli investimenti in un paese fortemente impoverito e chiaramente in regressione sociale ed economica.

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La storia politico-economica degli ultimi quattro anni va ricordata, e fissata atto per atto, anno per anno, perché è facile rimuovere le responsabilità del governo populista-neoliberale di «centro sinistra» (Conte 2) e quelle del governo di quasi unità nazionale guidato da Draghi. Non avere perlomeno impostato una strategia di riforma strutturale allora, significa adesso lasciare al governo Meloni una maggiore libertà di fare iniziative ornamentali che finiscono nel nulla.

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Le reazioni che si sono registrate ieri da parte delle opposizioni si sono concentrate solo sulle evidenti incapacità dell’attuale esecutivo e non hanno trascurato, non casualmente, quelle degli esecutivi che hanno visto la partecipazione di quasi tutte. Un classico della memoria breve da criceto che caratterizza la politica fast food all’italiana. «Il governo ha inanellato 12 mesi consecutivi di calo della produzione industriale, è stato raggiunto il record di persone in povertà assoluta» hanno ricordato i Cinque Stelle delle Commissioni bilancio e finanze di Camera e Senato. «Più tasse, meno sanità, famiglie più povere e poi condoni e disastro Pnrr: in sintesi i risultati di quasi due anni di governo Meloni» ha detto Michele Fina, senatore e Tesoriere del Pd. «Giorgia Meloni in Parlamento ha detto una castroneria galattica: gli italiani stanno peggio di prima» ha scritto Matteo Renzi nella sua Enews. «Meloni provi a spostare la tassazione dai redditi di lavoratori dipendenti e pensionati alle grandi ricchezze e ai redditi più alti, faccia pagare chi ha fatto miliardi di extraprofitti» ha aggiunto Nicola Fratoianni (Avs).