Israele ha passato informazioni su un presunto complotto iraniano volto a colpire gli interessi di Washington nel Golfo, poco prima che il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton minacciasse l’Iran che un attacco agli Stati Uniti o ai loro alleati otterrà «una risposta implacabile» e annunciasse l’invio nel Golfo della portaerei Uss Abraham Lincoln. A rivelarlo è stato Barak Ravid, della tv Canale 13, uno dei giornalisti israeliani meglio informati. Israele quindi si conferma il motore della pressione, ad ogni livello, esercitata su Tehran dall’Amministrazione Trump che esattamente un anno fa ha annunciato l’uscita degli Usa dall’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano. A quella decisione sono poi seguite nuove pesanti sanzioni americane contro la Repubblica islamica. La crisi che si è aperta si aggrava mese dopo mese e rischia di sfociare in quella guerra che il premier israeliano Netanyahu ha evocato e minacciato tante volte negli anni passati senza ottenere il sostegno dell’ex presidente Usa Barack Obama favorevole, come poi ha fatto nel 2015, a firmare un’intesa con l’Iran. L’avvento alla Casa Bianca di Donald Trump ha rovesciato il tavolo della diplomazia e spianato la strada a scenari catastrofici.

Secondo Barak Ravid, che ha parlato con funzionari dell’intelligence israeliana, le informazioni su questi presunti piani iraniani contro gli Stati Uniti o i loro alleati nel Golfo sono inizialmente emerse due settimane fa durante i colloqui a Washington tra una delegazione israeliana guidata dal consigliere per la sicurezza nazionale Meir Ben Shabbat e la controparte americana che fa riferimento a Bolton. Ravid sul sito Axios precisa che le carte passate agli Usa non contenevano informazioni precise e dettagliate su dove gli iraniani avrebbero pianificato di compiere i loro attacchi e che il Mossad israeliano ha disegnato scenari sulle possibili mosse di Tehran. Solo questo è bastato a far scattare Bolton – di fatto un rappresentante permanente delle posizioni di Israele nell’entourage di Trump – e a mettere in moto la macchina militare Usa in risposta a «preoccupanti segnali di innalzamento della tensione e avvertimenti» connessi all’Iran. È probabile che gli avvertimenti israeliani siano stati ripetuti qualche giorno fa perché, ha scritto il New York Times, fino al 3 maggio gli analisti militari americani non avevano segnalato alcuna minaccia da parte dell’Iran o di forze vicine a Tehran contro gli Stati Uniti in Iraq o altrove nella regione.

Comunque sia andata, un attacco militare Usa contro l’Iran, sostenuto e forse con la partecipazione di Israele, è uno scenario sempre più possibile. Il Segretario di Stato degli Usa, Mike Pompeo, commentando ha l’iniziativa militare annunciata da Bolton, ha confermato che gli Stati Uniti ci stavano lavorando «da un po’ di tempo». Tehran ridimensiona la minaccia, spiega che gli Usa già da settimane hanno navi da guerra nel Golfo ma sa bene che una scintilla ora può appiccare l’incendio. E dall’Europa arrivano segnali poco incoraggianti per l’Iran. Rispondendo alle notizie che oggi, a un anno di distanza dal ritiro Usa dall’accordo del 2015, l’Iran dovrebbe annunciare «misure di reciprocità», riprendendo parte delle attività nucleari che aveva interrotto, ieri la Francia ha avvertito che le intese firmate quattro anni fa prevedono sanzioni in caso di violazioni. «In quel caso saremmo obbligati, per attuare con precisione clausole dell’accordo, a riprendere noi stessi europei delle sanzioni. Non è quello che desideriamo, speriamo che gli iraniani non facciano questa scelta, c’è ancora incertezza», hanno fatto sapere dall’Eliseo.

Fondamentale per le mosse iraniane, almeno nel breve periodo, potrebbe rivelarsi l’incontro che i ministri degli esteri russo e iraniano, Sergei Lavrov e Mohammad Javad Zarif, avranno oggi a Mosca. I russi ribadiscono che la cooperazione con la Repubblica islamica «è una condizione importante per garantire gli interessi nazionali dei nostri paesi». Tehran però ha bisogno urgente che alle parole seguano i fatti, in economia e diplomazia, per rendere più sopportabili le conseguenze dello stop alle importazioni di greggio iraniano imposto da Trump a mezzo mondo.